Nonostante credenziali di tal fatta, il nuovo album, "Quicken The Heart", prodotto da un pezzo grosso del calibro di Nick Launay (fidato produttore in passato di Nick Cave e Talking Heads), non ha goduto di buonissima stampa, lasciando più di un estimatore in una condizione di lieve perplessità insoddisfatta. Qualcosa di vero c'è senz'altro, nel senso che "Quicken The Heart" risulta effettivamente e sin dal primissimo ascolto meno persuasivo e poeticamente intenso dei suoi autorevoli predecessori. Ma sarebbe un errore quasi imperdonabile farsi prendere da premature manie demolitrici e troppo frettolosi istinti vendicativi che, come ben si sa, tendono a scatenarsi in tutta la loro furia distruttiva soprattutto nei confronti di quelle band inglesi che hanno avuto la fortuna/sfortuna di capitare sulla copertina di Nme per una settimana o due.
Innanzitutto non è totalmente corretto considerare i Maximo Park, come pure molti tendono a fare, una band trendy, troppo simile a tante altre. Per rimanere alle cronache più recenti, ad esempio, "Quicken The Heart" è un disco che si apre con una frase di una bellezza crepuscolare e segretamente disperata del 1909 di Rainer Maria Rilke e che si conclude con un distico in cui tutto si chiude e, al contempo, rimane per sempre aperto e sospeso come "Time is over-rated/ Momentum carries me". Nelle nuove canzoni si ritrovano moltissime fulminanti intuizioni simili a quelle appena citate e per il resto il gruppo continua a suonare quello che ha sempre suonato sin dall'inizio, un miscuglio nervoso di pop e punk melodico e tagliente, infarcito di ritornelli romantici e struggenti, arricchito da snelle architetture ritmiche dal sapore new wave e tastiere dal suono atmosferico e schiumoso. Come se i Pixies o i Rem (seguite il bellissimo movimento di "Questing, Not Coasting") dei prime tre-quattro indimenticabili album finissero schiantati sui Magazine e gli Wire sublimandosi poi in un jingle trasparente e vaporoso degli Smiths.
Se il disco risulta allora nel complesso un po' troppo affastellato e dispersivo (con un finale in calo di tensione vistoso), bisogna nondimeno ammettere che alcune delle canzoni che lo popolano sono più che buone, a tratti anche notevoli, esaltate dal demone poetico schizofrenico e immaginoso del cantante (e abilissimo saltatore) Paul Smith e dalla sua voce sempre perfettamente tesa e vibrante di stupore.
Si va dalle geometrie acuminate del singolo "The Kids Are Sick Again", interessante per la sua struttura tortuosa e per un arrangiamento particolarmente ricco di dettagli e impreviste aperture panoramiche, per sbattere poi contro l'irruenza ipercinetica di "Warithlike", che sembra ritradurre in musica la ginnastica gestuale scomposta e ansimante che il cantante Paul Smith interpreta fin quasi allo spasimo on stage, fino ad arrivare alla progressione di "Calm" (tra gli esiti più felici) e alla sottilissima introspezione amorosa della bella "Let's Get Clinical" (altra canzone da ricordare). Non male anche, tra le altre, "A Cloud Of Mystery", "Tanned" e "Roller Disco Dancer".
Alla luce di quanto osservato, "Quicken The Heart" si presenta come un lavoro a tratti un po' interlocutorio e non sempre del tutto all'altezza delle proprie ambizioni artistiche. Nonostante questo tuttavia, come già detto, alcuni momenti dell'album sanno dialogare splendidamente con la fantasia e il fragilissimo microcosmo emotivo dell'ascoltatore, rievocando un romanzo silenzioso di ricordi, ferite, amori spezzati, cose che avrebbero potuto succedere e che invece non sono successe e, forse, non succederanno mai. Da questo punto di vista il gruppo rimane fedele agli ideali poetici che ne avevano battezzato gli esordi e può dunque proseguire a testa alta, forte di una sensibilità e di uno sguardo penetrante e visceralmente partecipato che davvero poche band possono oggi vantare sino in fondo.
(12/06/2009)