Nell'ipotesi che qualcuno volesse convincervi che il presente di Peter Spilles e della sua creatura più luminosa (siamo nel pieno del paradosso parlando di uno dei progetti più scuri dell'elettronica tedesca) Project Pitchfork s'ispiri direttamente al passato, non dategli la possibilità di andare oltre, arginatelo sul nascere!
"Continuum Ride" ha forse dentro qualche seme di "Alpha Omega", qualche veloce ballata che si può relazionare a "Io": è sempre Peter Spilles il mastro cerimoniere del suono, ma "Continuum Ride" in realtà è figlio diretto di "Dream, Tiresias!", ne continua l'evoluzione, lo amplifica nei toni di un totale "impero" del synth (la chitarra è definitivamente scomparsa dal suono), ne accelera i battiti per portare a sfinimento il popolo goth sul dancefloor.
Verrebbe da chiedersi chi sia oggi Peter Spilles. Non è solo un cantante, o meglio un vocal, e anche musicista è un abito ancora stretto a chi, oggi, è un'espressione totale di voce e composizione, ma rappresenta il carisma di un satiro, di un demone sardonico votato a divertire e a divertirsi, un demone con l'anima del joker che strega e sottrae l'anima.
Non crediamo ci sia troppa opposizione in questo e il subire il fascino tout-court del leader dei Project Pitchfork è l'abbandonarsi a un alter-ego oscuro che ognuno di noi ha in sé e che spesso non è così male come lo si dipinge.
Non l'ha mai nascosto nelle recenti interviste che il side-project Imatem gli serviva al duplice scopo di godersi nuove composizioni votate a istinti non reprimibili usufruendo della collaborazione di artiglierie del synth come Ronan Harris (sua maestà VNV Nation) o Der Graf (Unheilig), per citare due dei maggiori partner Imatem, in grado di permettergli l'apertura di nuove visioni compositive, non sovversive, ma che spostassero baricentri verso mood alternativi. "Continuum Ride" allora è un'immersione nell'electro-goth più aggressivo degli ultimi anni, ancora più oscuro del precedente album e per certi aspetti virato verso inferni elettronici cari a Suicide Commando (ascoltate in tal senso "Stacked Visions") o per altre simmetriche emozioni il patrimonio Covenant degli anni di "United States Of Mind", come nell'opener "Way Of The World". Patrimonio di synth che nell'intreccio di note digitali matura la forza del suono; la voce di Peter è vetrosa e mefistofelica come nella ballata maledetta "The Dividing Line".
In questi ambiti la title track, forse e con gusto tattico appositamente collocata al centro del dischetto, è un interludio dance crepuscolare, un sentiero in discesa slow nei suoni che gradualmente e senza troppi misteri punta agli abissi dove vi attende la voce di Spilles, bassa e ostile, in uscita da un'ugola che è caverna, i toni granitici.
Lo stesso è il finale: "Full Contact" di nuovo ha ritmi di ballo ipnotico e insidioso, al cui interno i synth giocano tra loro, si accoppiano e intrecciano creando una ragnatela di beat dalla quale è impossibile non rimanere imprigionati.
Formule semplici, se ci pensate: ognuno governa la propria macchina del suono, le note scendono come uno scroscio su chi ascolta, il ritmo è costante e mantenuto acceso per creare la danza, un'alchimia da manuale base dell'apprendista compositore, eppure è proprio questa la ricetta vincente del nuovo corso Project Pitchfork, a voi ora tocca essere i Faust al suo servizio: buon ascolto.
15/10/2010