E' tutto ancora intatto, in casa Peris: la tappezzeria floreale immacolata, il servizio da tè della nonna infrangibile, l'odore di ricordi vissuti insieme aleggia immutato tra il soggiorno e la cucina. L'esile voce di Karen non ha perso la capacità di infilarsi in pertugi sempre spalancati, anche nel cuore più avvizzito, per estrarne dapprima una soave malinconia e poi, da ultimo, la meraviglia. La meraviglia di scoprire, nascosto in gentili movimenti di piano e acustica, il segreto del movimento delle nuvole - e di tante altre cose, evidenti e nascoste - nella nitida impressione dell'infanzia.
"My Room In The Trees" è il decimo disco della coppia di Lancaster (Pennsylvania), e la vivace fissità dei caseggiati sullo sfondo della copertina, spezzata dal richiamo flebile e inestinguibile di un albero solitario, racconta già del gondriano luogo dell'anima sul quale questo nuovo lavoro è posato. Una promessa di felicità imprendibile attraverso i vetri inondati di pioggia di un pomeriggio nel New England, un ricordo d'infanzia tristemente confuso: eppure è tutto vividamente a portata di mano.
Dal gioco di lievi arpeggi in minore traspare una grazia decisamente fuori dall'ordinario (in un dialogo chitarristico a volte vicino ai migliori Kings Of Convenience, si vedano "The Happy Mondays", "God Is Love", "The Leaves Left High" etc.), e sappiamo bene del numero di improvvisatori, su questo versante.
A costituire un vero e proprio parafulmine è la sensibilità melodica dei Nostri, da sempre un tratto distintivo: qui se ne può cogliere la fonte nel dolce appaiarsi d'accordi di "All The Weather" - una vocazione che è stata anche centrale nell'esperienza degli Innocence Mission, come nell'ottimo "Glow".
Gli ultimi anni paiono invece essere stati consacrati alla costruzione di un'intimità impressionista - a partire dalle cover formato lullaby di "Now The Day Is Over", passando per il precedente "We Walked In Song" - convertendosi senza uggiosità artefatte, mantenendo invece intatta, fresca la propria "missione di innocenza".
Per questo il classicismo apparentemente ingessato con cui inizia "Rain (Setting Out In The Leaf Boat)", dalle parti di Marissa Nadler, non deve spaventare: non è che la mano che scorre sulla copertina di un vecchio libro di favole, a rivelare con indefinibile concisione il ruscellare di violino di una corroborante ninnananna. E' lo squarcio di un velo che introduce in un sogno, non un'effimera allucinazione ma una nitida rimembranza popolata di affetti: la voce di Karen ne è guida infallibile.
La prima parte del disco è una progressione inesorabile, un carosello emozionante di gemme in cui ogni apparizione è un legaccio che comprime e raffina le emozioni in un nucleo rilucente: lo sbocciare indifeso e fiducioso di "God Is Love", lo sposalizio verdeggiante di "Gentle The Rain At Home", il crepuscolo profumato di "Spring"... Eppure non pare più che un sentiero propedeutico, una suadente anestesia, utile a reggere l'urto emotivo del bozzetto pianistico di "North American Field Song". "Stay calm!", sussurra Karen, mentre rimuove con un gesto gentile e deciso quanto di putrescente e maligno si è incancrenito nel tempo negli anfratti del Sé più profondo.
Si è liberi quindi di volteggiare lungo le punteggiature delle strumentali "Mile-Marker" (composizione di Don, abile rifinitore e attento complice per tutto il disco) e "The Melendys Go Abroad", come se la voce di Karen fosse parte, ormai, del proprio ciclo biologico. Dopo l'amorevole violenza a cui è stato sottoposto l'organismo, è salutare la più melliflua compostezza della seconda parte: una meritata convalescenza ospitata tra le fronde ("The Leaves Left High", "I'd Follow If I Could", "Shout For Joy").
E' quindi importante sottolineare come non ci sia mai abbastanza riconoscenza per chi, senza avvertire minimamente il peso di vent'anni di carriera, sa offrire una rinvigorente cura per l'anima come questo "My Room In The Trees".
05/07/2010