L'ultimo sguardo di un amore che finisce. Sembrava di averlo stretto tra le dita, di avere afferrato quella segreta corrispondenza. E invece fugge come un'ombra alle prime luci dall'alba. "Here comes the sun, watch our shadows run". Le canzoni di Joseph Arthur hanno da sempre a che vedere con le ombre dell'amore, ma mai come in "The Graduation Ceremony" i chiaroscuri erano stati così personali: un diario, una confessione, una tela bianca su cui tratteggiare l'azzurro della lontananza. Canzoni che hanno bisogno di solitudine, come non accadeva ormai da anni per il songwriter americano. Non il rock'n'roll dei Lonely Astronauts, non la coralità dei Fistful Of Mercy. Un ritorno al formato solista capace di restituire a Joseph Arthur quell'ispirazione che, almeno dai tempi di "Our Shadows Will Remain", sembrava essersi dispersa in una sorta di permanente estemporaneità.
"The Graduation Ceremony" è un saggio della materia maggiormente congeniale ad Arthur: la ballata nello stile notturno e fremente dei momenti più intimi di "Redemption's Son". Un'unica sessione negli studi di Sheldon Gomberg a Los Angeles, un pugno di brani in veste acustica, lontano da backing band e supergruppi. Qualcosa rimane, però, dell'esperienza con i Fistful Of Mercy: l'idea di coinvolgere alla batteria, anche in questa occasione, il leggendario Jim Keltner. Lo stesso connubio che, ormai oltre dieci anni fa, aveva dato vita al capolavoro di Arthur, "Come To Where I'm From".
Non sarebbe servito altro, per far dimenticare i passi falsi del recente passato. Ma Arthur cede alla tentazione di affidare le registrazioni alle mani del produttore John Alagia, noto per il suo lavoro con nomi come Dave Matthews Band e John Mayer. Il risultato finale, come già altre volte, finisce così per risentire inevitabilmente di qualche smussatura di troppo. Non abbastanza, però, per tradire lo spirito di un disco dai lineamenti nitidi e coesi.
Arpeggi che cullano il rimpianto, pennellate di archi a distendersi sulle melodie: fin dall'iniziale "Out On A Limb" Arthur svela subito l'essenza di "The Graduation Ceremony". Un album che privilegia la semplicità, il legame con l'anima cantautorale, tanto da spingersi in "Horses" ai limiti dell'autoplagio di un classico del vecchio repertorio come "Honey And The Moon". Il romanticismo si fa più indifeso nelle pieghe di "Love Never Asks You To Lie", anticipata l'anno scorso in veste di demo come regalo di San Valentino. "This Is Still My World" si dipana tra sfarfallii digitali e contorni di tastiere, "Face In The Crowd" si veste di soffici panneggi grazie al violino di Jessy Greene. E anche il consueto ricorso al falsetto, da "Horses" a "Watch Our Shadows Run", torna ad assumere sfumature eteree.
Non mancano i brani rimasti a lungo nel cassetto, omaggi a quella vera e propria discografia parallela costruita nel corso degli anni attraverso le registrazioni dal vivo pubblicate da Arthur sul proprio sito ufficiale. È il caso di "Someone To Love", risalente addirittura al 1997, e di "Almost Blue" (guastata nel chorus da un'enfasi pop alla Coldplay). Il tempo scorre ancora più indietro, fino al panorama desolato dell'Ohio dove Arthur ha trascorso l'infanzia, e la voce dell'ospite Liz Phair accompagna i cori di "Midwest" tra battimani e incursioni elettriche: "There's nothing to do in the Midwest but dream".
La fine di un amore è perdere una parte di sé. "Homeless in my home", come canta Arthur in "Horses". Il suo è un racconto schietto, a volte sin troppo colloquiale ("Call"). "Tutto il disco riguarda una lunga relazione", spiega. "Registrare questa musica è stato catartico e terapeutico: l'arte è la migliore medicina per trasformare l'amarezza del cuore in innocenza, ma accompagnata dalla saggezza. Essere innocente e saggio è essere illuminato". Illuminato da un riverbero di verità che nemmeno le bugie degli amanti posso negare: "You were as close to the truth as anything ever was", è il sussurro di "Love Never Asks You To Lie". Non è una menzogna, la promessa che sembra tradita: è un punto di fuga che né la purezza dell'amore, né la sua fragilità possono contenere. Una sofferta cerimonia di laurea, il segno dell'innocenza ritrovata.
09/06/2011