“Chappaqua Suite” è suddivisa in quattro lunghe suite, tutte dalla durata di circa venti minuti ciascuna e suddivise (sull’album originale) una su ogni facciata del disco. Per la prima volta Coleman si cimenta con un ensemble di archi (qui sono in totale undici elementi), anche se gli arrangiamenti sono stati scritti da Joseph Tekula. Si tratta quindi di un esperimento pionieristico per il grande alto sassofonista texano, che metterà poi meglio a frutto nel suo capolavoro del decennio successivo, “Skies Of America” (Columbia 1972) e nelle trascrizioni orchestrali per Alice Coltrane nel suo disco più mistico, “Universal Consciouness” (Impulse! 1971).
La musica da camera atonale (derivante da quella di Bartok, Schonberg, Messiaen, Barraqué fino a Cage) al servizio del free-jazz, sempre meno “jazz” e più vicino alla musica contemporanea, dove ogni confine tra i due generi viene progressivamente sfumato. Di jazz, comunque, nelle quattro suite di “Chappaqua” ce n’è parecchio. La prima suite è quella più eclettica e varia, che in più tratti ricorda certe partiture (quelle più inquietanti, per certi film di Welles e Hitchcock) di Bernard Herrmann. La seconda, invece, è caratterizzata da un hard-bop dalle allucinate sonorità notturne, mentre la terza è quasi “ayleriana” nel suo svolgersi a mo’ quasi di marcia. La quarta parte è quella invece più consona a “Free Jazz” (Atlantic 1960), l’enorme capolavoro spartiacque dello stesso Coleman, dove l’improvvisazione tra tutti gli elementi si fa completamente libera da ogni schema precostituito. Non a caso, in questa ultima suite è presente un altro campione del free-jazz, Pharoah Sanders al sax tenore.
I fidi David Izenzon e Charles Muffett costituiscono, come al solito, una solida e duttile sezione ritmica. Illuminanti le brevi note scritte da Rafi Zabor nel libretto del cd. Non vi è alcun accenno riguardo ad un nuovo remastering, ma dall’ascolto, parrebbe che qualche ripulitura sia stata effettuata. Ad ogni modo, questa è una delle ristampe essenziali del 2012, insieme al cofanetto “The Aberrant Years” (Sub Pop) degli australiani Feedtime, seppur di un genere completamente diverso.
(08/12/2012)