Prefazione
Avanguardia. In molti ci siamo chiesti, tante volte, il significato reale di questa parola. Con una breve e non faticosa ricerca su un qualsiasi dizionario, troveremo associati a questo altri termini, quali “estremismo”, “audacia”, “innovazione”. L'essere in anticipo sui tempi, sulle tendenze. Lungimiranza, dunque? Sì, ma non solo. Perché tante, troppe volte, prodotti di correnti socio-culturali considerate in “avanguardia”, si sono rivelati in realtà ben poco visionari rispetto all'evoluzione che l'ambito in questione avrebbe preso nel tempo. Eppure, ad oggi sono considerate ancora “al passo coi tempi”, magari anche solo per l'aver indicato con largo anticipo la strada da non prendere, anziché quella da assecondare.
Partendo da un banale ragionamento sulla parola, siamo già giunti a un punto di non-ritorno: è evidente, infatti, che riflettendo sul significato del termine “avanguardia” si rischia di imboccare una strada senza fine. La verità è che l'avanguardia, specialmente nelle sue applicazioni artistiche, non si è mai manifestata con le parole, le definizioni, le spiegazioni, ma con le opere e i fatti. Elementi, questi ultimi, spesso passati in sordina sotto forma di influenze involontarie, ignorati quando non mal visti da coloro le cui esperienze sono in realtà loro debitrici.
Ben accentuato in tutte le forme d'arte, questo trend ha trovato nella musica la sua dimostrazione più eloquente, discussa e ad oggi ancora non del tutto chiarita. Elencare le esperienze più estreme che nella storia sono state mal recepite salvo poi subire drastiche rivalutazioni sarebbe esoso e dispersivo, ma è dato di fatto che le forme musicali e (soprattutto) sonore oggi considerate autentici standard discendono il più delle volte da esperienze svalutate e rifiutate a tempo loro.
Se al termine avanguardia corrisponde dunque il significato di ante-presente, la ricezione di cui sopra risulta caratteristica intrinseca di qualsiasi lavoro riconducibile a tale definizione. Tutto ciò che può dirsi avanguardia è, per sua natura, incomprensibile (o comprensibile solo in parte) nel presente in cui nasce.
Provocazione o perspicacia?
Pochi, probabilmente, ricondurranno al nome (anzi, codice) P16.D4 un qualsiasi immaginario musicale. La bizzarria, quella forse sì: chi poteva, a fine anni Settanta, con la new wave che imperversava e la decadenza borghese pronta a farsi linguaggio, inventarsi un codice alfanumerico per nome? Nemmeno nel regno dell'Lsd, la psichedelia, si era arrivati a tanto. Tantomeno in quella Germania che fra kosmische musik, adunate post-hippie con il culto del selvaggio e robot-pop si era distinta fino a quel momento come la terra per antonomasia dell'avanguardia.
Già, avanguardia o provocazione? Se in parecchi erano rimasti affascinati dalla follia catartica degli Amon Düül, dallo spirito ultraterreno dei Tangerine Dream, dai funambolismi sublunari dei Cluster e dai meccanici trip spazio-temporali degli Ash Ra Tempel, non furono in troppi, almeno inizialmente, a prenderli sul serio. E persino gente come Neu! e Kraftwerk, col senno di poi fra i padri fondatori della popular music moderna, non riscosse ai tempi una particolare dose di successo (ci vollero “Trans Europe-Express” e il famigerato 1977). Il ragionamento può essere ricondotto a quanto già detto sopra, con l'aggiunta di una conclusione altrettanto scontata: la perspicacia avanguardista proviene spesso e volentieri da quella che in apparenza o nella realtà nasce come pura provocazione.
Improbabile, forse dunque impossibile, fugare ai tempi il dubbio: un collettivo di tedeschi impegnati in sinfonie cacofoniche sulle orme di Stockhausen e Cage, con tanto di nome in codice, difficilmente poteva essere preso sul serio. Non fu un caso, quindi, che Achim Szepanski, Ewald Weber, Gerd Poppe, Ralf Wehowsky e Roger Schönauer dovettero attendere ben sei anni prima di poter arrivare a produrre un disco, al quale ne seguirono altri cinque. Tutti al passo con i big dell'avanguardia cosmo-industriale, e tutti puntualmente, perfettamente sconosciuti ai più.
Trent'anni dopo...
...la Monotype, fra le label più “avanguardiste” - per scelte artistiche e catalogo – del momento, pubblica nell'indifferenza di molti questo “Passagen”. Ovvero, l'opera omnia dei P16.D4. Ovvero un documento più unico che raro sull'attività di una band (usando il termine più adatto e appropriato, un collettivo) che non ha avuto (o voluto?) la fortuna di arrivare nel momento migliore. Troppo tardi per poter essere considerati portabandiera della kosmische musik, troppo presto per competere con i Throbbing Gristle e il loro “The Second Annual Report”. Troppo tardi, infine, anche per potervisi anteporre discograficamente: 1977 (di nuovo) la data del capolavoro di Genesis P. Orridge e soci, 1981 quella della prima testimonianza dei tedeschi.
“Passagen” è opera omnia nel vero senso del termine. Un cofanetto contenente i sei full lenght – quattro in studio e due raccolte – pubblicati nei dieci anni di attività discografica e un Dvd con alcuni estratti delle visuals proiettate durante un concerto tenutosi a Karsluhe nel 1987. A completare il pacco, un libretto ricco di interviste, estrapoli da giornali, opinioni e dati sulla storia del collettivo e una manciata di cartoline con gli artwork originali degli album. Traduzione: un'opera monumentale, in grado di meritarsi i pieni voti anche solo per la meravigliosa confezione, nonché la testimonianza di un'esperienza fondamentale quanto “sotterranea”.
Dadaismo ed espressionismo: una rivoluzione incompiuta
«Tutto ciò vi diverte? Mi state dicendo che questo disco sembra divertente? Ma quindi il rumore è divertente! E allora perché le note di copertina hanno un tono così serio?»
(Ralf Wehowsky)
Si diceva prima, di provocazione e lungimiranza, proprio perché il marchio P16.D4 fu nel suo piccolo innanzitutto l'emblema di questo contrasto. Se il confine fra le due forme d'espressione è quantomai flebile, Ralf Wehowsky e compagni ebbero l'ardire di abbatterlo, di frantumarlo fra un campionamento e l'altro, un fruscio e un tintinnio, un urlo e un omicidio sintetico. Non c'è limite né classificazione nella musica del P16.D4, come non ci fu – almeno in principio – alcun intento volutamente sperimentale. Non furono presi sul serio, ma furono loro stessi inizialmente a non montarsi minimamente la testa.
Dopo una manciata di singoli autoprodotti e le prime due audiocassette-documentario (contenenti estrapoli in bassa qualità di
live show e prime testimonianze a cui ci si riferiva poc'anzi) tutti sull'etichetta dell'associazione autonoma di musicisti denominata Selektion, arriva per il collettivo il momento di tirare le prime somme su dieci anni di attività. Il risultato è “Kühe In ½ Trauer”, forse uno dei dischi più potenzialmente influenti della storia della musica (autonomamente) sperimentale, nonché la rappresentazione massima di unione fra il mondo della lungimiranza espressionista e quello della provocazione dadaista.
Dieci composizioni decomposte, miscugli di improvvisazione, presa diretta, de-costruzione di campioni, sovrapposizioni, collage aritmetici di fronde sonore anti-fisiche. I (non)-musicisti si dividono fra studio di registrazione, sperimentazione di tecnologie ancora da venire ed esecuzioni con strumenti di ogni tipo, dando vita al regno programmato del caos spontaneo. Così nascono vere e proprie previsioni dell'industrial che sarà, messe macchinali con sentito omaggio ai padri dell'elettronica, viaggi nell'universo cosmico interrotti da brusche e visionarie frenate, decolli verso il futuro e atterraggi nel più oscuro e misconosciuto dei passati.
Impossibile citare brani per la loro peculiarità: si tratta di capitoli equamente importanti di un'avventura unica riconducibile a un unico cuore pulsante: la libertà. Meritevoli di citazione sono senza dubbio “Anselm Weinbergs Flucht In Den Odenwald” - per voce urlante, coro campionato, percussioni metalliche e versi di animali trattati, con l'aggiunta di sintetizzatore e zither pre-registrati e centellinati sino a divenire irriconoscibili – e “Ekstase Des Sozialismus” - odissea dissonante di sassofono trattato e squarci campionati di improvvisazioni
live. Ma l'apice inarrivabile e massimo risultato dell'arte tutta dei P16.D4 è un brano dal titolo infinito, uno tsunami Cage-iano di suoni concreti (tintinnio di orologi, rumore di lavatrici) e rumorismi (
feedback di chitarra, voci filtrate, percussioni) pronto a gareggiare per la palma di prodotto meno musicale mai inciso su un disco: “He's Afraid Of The Way The Glass Will Fall – Soon: It Will Be A Spectacle: The Fall Of A Crystal Palace But Coming Down In Total Blackout, Without One Glint Of Light, Only Great Invisible Crashing”.
“Kühe In ½ Trauer” uscì nel 1984, nonostante i brani risalissero per concepimento attorno a metà anni Settanta e avessero visto la luce nel periodo fra 1981 e 1983. Fu un'autentica rivoluzione incompiuta, costretta in un cassetto all'ombra dei vari pionieri dell'industrial. Se l'espressionismo dei Kluster si fosse unito al dadaismo dei
Cabaret Voltaire, difficilmente ne sarebbe uscito un album così assurdista e contemporaneamente fenomenale. Nell'edizione del
box-set, al disco sono aggiunte le tre parti di “Masse Mensch”, una composizione più vecchia e ancor meno “ascoltabile” proveniente dalla compilation omonima che inaugurò l'attività della Selektion.
La diffusione
Nel frattempo, attorno alla scena industrial si era creata una nicchia sempre più forte di appassionati. Quell'arte che fino a poco tempo prima era suffragio di pochissimi, iniziava ad acquisire una certa importanza, comunque non paragonabile a quella che gli verrà riconosciuta nei decenni a seguire. Un buon numero di coraggiosi esploratori iniziò a gettarsi così nel mondo del rumore: il fenomeno partì dall' Europa per poi diffondersi a macchia d'olio fino a contaminare addirittura il Giappone, ancor oggi patria di una fiorente scena sperimentale. Il secondo Lp dei P16.D4 fu un tentativo sostanziale di aiutare gli astri nascenti meno fortunati di tale scena.
In “Distruct” entra Stefan E. Schmidt e il collettivo mette l'improvvisazione temporaneamente da parte, dando in commissione a una serie di contemporanei (fra cui un ancora sconosciuto Merzbow) la fase di composizione e occupandosi esclusivamente di “eseguire” quanto comandato. Il risultato è un album decisamente inferiore all'insormontabile predecessore, a cui è fin troppo vicino per suoni e coordinate, ma importantissimo per il significato simbolico che ricopre: ben lungi dall'essere entrato a far parte della cultura
popular, il mondo della sperimentazione sonora si stava aprendo a ventaglio fra gli “addetti ai lavori”. Notevole, comunque, l'effimera Tramontana concreta di “Meere, Giganten und Berge”, ideale annuncio del
sound che il collettivo proporrà nel suo ultimo capolavoro.
L'apertura al mondo esterno si completa idealmente con la collaborazione con un altro dei misconosciuti “grandi nomi” dell'avanguardia tedesca, con residenza sempre presso l'associazione Selektion: Achim Wollsheid
aka Swimming Behavior Of The Human Infant. Il parto congiunto fra i progetti è il monumentale doppio “Nichts Niemand Nirgends Die”, ridotto a singolo nel cofanetto per via dell'(ovvia) esclusione dei brani a sola firma S.B.O.T.H.I. E' qui che il suono dei P16.D4 inizia a prendere quella forma di cui era privo in “Kühe In ½ Trauer”, avvicinandosi alla pura
musique concrète e anticipando sostanzialmente gran parte delle sperimentazioni oggi costruite su tale modello. Con Schaeffer nella testa e Ivo Malec nelle mani, nascono così geometrie sfavillanti come “Passagen – Kryptokontur” (il brano che dà il nome al cofanetto) e “I=:-I/*I-;-II:”/”I”, dove strumenti a fiato vengono processati per poi essere “tagliati” da fendenti di organo elettrico. Sempre l'organo è protagonista in “Virtuelle Altäre”, messa apocalittico-industriale per un'ipotetica cappella del GRM, mentre “Rotron II” porta a compimento le decennali ricerche sul
tape loop già esplose nel folgore di “He's Afraid...”. Nell'edizione di “Passagen”, c'è spazio pure per due riassemblaggi di samples provenienti da tutti i brani del disco e per una
bonus track registrata dal vivo, intitolata “Ephemeral March Of The Dead Monks” e basata sulla registrazione di una funzione funeraria, distorta e travolta da ogni genere di fonti di rumore.
Guerra alla stupidità
La parte conclusiva del percorso P16.D4 – e conseguentemente del cofanetto – porta agli ultimi tre documenti discografici: “Tionchor” è una raccolta di
b-side e reliquie provenienti dal primissimo periodo di attività del collettivo, quello compreso tra il 1976 e il 1980. Il clima torna a farsi teso e incontrollabile, superando per atmosfere e estremismo persino “Kühe In ½ Trauer”, ma non riuscendo a condensare con lo stesso, matematico cinismo lo spirito caotico e libertario di quest'ultimo. Si tratta comunque di un'altra incredibile testimonianza di incontro tra i suoni primordiali della
kosmische musik più cruda (quella, per intendersi, di “Electronic Meditation” dei
Tangerine Dream)”, le spigolosità dell'industrial (ancora da venire) e i nastri magnetici di casa Schaeffer.
Il quarto e ultimo
full-lenght dei tedeschi è probabilmente la loro opera massima, “acRID acME [OF] P16.D4”. È un congedo già dal titolo, nonché la trasposizione in musica di quella che Ralf Wehowsky definiva la sua personale “guerra alla stupidità”. Non c'è più la libertà sovracontrollata di “Kühe In ½ Trauer”, di cui il disco è ideale contraltare: tanto il primo era esuberante, sfacciato, provocatorio e rivoluzionario, quanto quest'ultimo lavoro è misurato, sintetico, prosciugato di ogni orpello. È la sintesi estrema dell'avventura del collettivo, che in preda ad un folgorante spirito creativo si inventa nel silenzio dell'anti-notorietà quella che sarà l'avanguardia del nuovo millennio.
Le tre sezioni in cui è diviso il disco affrontano tre ambiti separati: la prima rappresenta il rock secondo i P16.D4, che riprendono in mano estrapoli di misteriosi gruppi e registrazioni dei primordi mescolandole e ri-assemblandole come tessere di un puzzle. “Rotting Outscratched” è il manifesto di tale concezione, un intermittente cuore elettro-acustico che pulsa in un gelo siderale, uno dei punti massimi di de-strutturazione rock mai raggiunti. La seconda parte rivede il concetto di live show, sintetizzando quelli che erano nati come fondali sonori a effetti visivi in un quartetto di brevi acquarelli di decomposizione ambientale, cui testimone più rappresentativo è “Das Lamm, Der Dolch”. La terza parte, infine, è la teorizzazione formale dell'improvvisazione da sempre caratteristica del loro non-stile: “Interfaces” potrebbe tranquillamente provenire dal miglior disco di una Tattered Kaylor, mentre “Half Cut Cowes” suona ad oggi futuristica nonostante gli ormai trent'anni sulle spalle. Il gradito
bonus aggiunto nell'edizione è un brano eseguito al fianco di Merzbow, l'indiscusso padre dell'avanguardia giapponese: per venti minuti, “Zur Genese Der Halbbildung” sbrana i suoni coi suoni, come un tornado che vince la pressione atmosferica, mettendo a repentaglio anche la salute del miglior impianto stereo.
“acRID acME [OF] P16.D4” è quindi l'evoluzione ultima, la sintesi totale: i folli spontanei che avevano intrapreso l'avventura P16.D4 senza “prendersi sul serio” sono giunti coscientemente al punto definitivo, impugnando la loro creatività e convogliandola verso il futuro.
Si tratta però anche di un punto di non-ritorno: dopo aver osato ininterrottamente su versanti così diversi, i membri del collettivo si accorgono probabilmente di aver detto e dato tutto e, in circostanze a noi ignote (non aiutano gli aneddoti del libretto interno a questo “Passagen”), si dileguano, nello stesso silenzio in cui avevano iniziato ad alzare la voce. Il loro è un urlo (volutamente?) perso nel vuoto, il cui canto del cigno coincide con la compilation “Three Project”, uscita per RRR e contenente lavori di più musicisti. Nella versione del cofanetto sono riportati un progetto di alcuni membri della Selektion (Brutiste), alcuni
outtake dal concerto tenuto al festival Captured Music e i risvolti di un progetto con Merzbow, Fifty, rimasto incompiuto. Il Dvd “Ethereal Ephimera”, come già anticipato, contiene alcuni estratti delle visuals metallico-macabre che accompagnarono il concerto al Captured Music, con i brani originali in sottofondo.
Conclusione
Difficilmente “Passagen” interesserà ai non-appassionati. Ancor più difficilmente potrà emozionare o stupire gli appassionati stessi. Con tutta probabilità, questo meraviglioso cofanetto – testimonianza di un'esperienza estrema nella sua intangibile genialità – resterà un'edizione per pochi intimi, quasi tutti di nazionalità tedesca. Chi vorrà ascoltare industrial,
kosmische musik o
musique concrète, continuerà a rivolgersi ai classici già citati sopra, o cercherà nelle nuove tendenze della moderna scena sperimentale/avanguardista pane per i propri denti. Ciò nonostante, “Passagen” rappresenta un meraviglioso tentativo di rendere onore ad una realtà che avrebbe meritato (ma non ha fatto niente per avere) più fortuna e considerazione, elementi traducibili in un tempismo che le avrebbe permesso di firmare almeno due volte il libro della storia della musica.
Il voto va al coraggio, alla subdola genialità, alla lungimiranza e all'opera. La speranza coltivata da Monotype, che chi scrive sostiene senza indugio, è che la “legge dell'avanguardia” venga applicata anche stavolta, e i P16.D4 possano arrivare a godere della stima meritata proprio in quell'epoca in cui la loro non-musica è ambientata. Che, manco a dirlo, deve ancora arrivare. Noi, per ora, ci limitiamo a osservare e a meravigliarci, trent'anni dopo la loro storia e chissà quanti prima della sua realizzazione finale.
28/01/2013