Raime

Quarter Turns Over A Living Line

2012 (Blackest Ever Black)
elettronica, post-industrial

Contorcersi nell’ombra, rintanarsi come topi e balzar fuori solo all’occorrenza. Ecco l’approccio di Joe Andrews e Tom Halstead, aka Raime, due manipolatori londinesi svezzati dalla vivissima Blackest Ever Black, giovanissima label fuori dal coro capace di porsi nel giro di due anni come avamposto nevralgico dell’elettronica più oscura in terra d’Albione. L’omonimo debutto dei due ragazzi è datato per l’appunto 2010 e segna di fatto la nascita dell’etichetta di Kiran Sande, attento scrutatore dell’underground elettronico britannico. Tre possenti tracce in scia industrial impongono fin da subito un distacco netto dalle tendenze del momento, su tutte la dubstep del giro di Kode9 e la techno ultra minimale ancora in voga nei club della capitale inglese.

La musica dei Raime punta essenzialmente a un isolamento forzato. Non vi è calore al suo interno. I suoi battiti suggeriscono un’immane desolazione. Ad ogni traccia è possibile scorgere un muro di suono spesso e invalicabile. Ascoltare un disco dei Raime è come essere sbalzati d’un tratto nei pressi di un’acciaieria dismessa, le cui macchine piene di ruggine rigettano trambusti indefiniti a intervalli irregolari, evidenziando solo una catartica mestizia.
“Quarter Turns Over a Living Line” è il primo Lp del duo e modella con maggior vigore quanto già evidenziato nei tre Ep precedenti.  Nel cuore di questo lavoro si annida un accumulo di ombre atte a fondersi all’unisono e a distaccarsi di continuo. A introdurre questa danza infernale è lo spaventoso thriller inscenato in “Passed Over Trail”, il cui intento è paralizzare l’ascoltatore lasciando che sia il passaggio roteante di un improbabile treno merci a sovrastare lo spazio uditivo, mentre un agghiacciante schiamazzo sintetico ne preannuncia a sua volta l’impatto.
Vige un silenzio "assordante”. Non c'è una disposizione lineare e retta. Le percussioni metallurgiche ondeggiano a rilento, come se partissero da più angolazioni, amplificandosi a seconda della distanza uditiva da coprire. C'è tantissimo spazio (vuoto) e pochissima luce. Al contrario dei Demdike Stare, i due Raime non rincorrono alcun vagheggio esoterico. Non allestiscono alcun cerimoniale. Lo spaesamento è pressoché totale e impacchettato a dovere. Non a caso, la splendida cover del fotografo William Oliver richiama sotto il profilo visivo l’essenza stessa del groove di marchio Raime.

E’ una torsione androide a torcere ripetutamente i sensi. E l’andatura secca, ossuta e sbilenca di “Soil And Colts” conferma questa possente contrazione sonora. D’altronde, l’umore è nero, nerissimo, come il mantra demoniaco di “Your Cast Will Tire”, a ricreare una possibile discesa verso gli inferi. Mentre “The Dimming Of Road And Rights” riassesta il tiro riallacciandosi nella direzione intrapresa in principio, con gli spazi lasciati intendere attraverso suoni che schizzano gradualmente da tutte le parti. A tratti sembra riapparire il Mika Vainio dei recenti lavori solisti. Così come anche gli Autechre più isolazionisti degli esordi.  Ma è solo una vaga sensazione. I Raime sono due cani sciolti dalle origini misteriose. Ed è arduo collocarli in un qualunque posto dell’universo sonoro.

Con “Quarter Turns Over a Living Line” ci si abbandona ai propri demoni sguazzando arbitrariamente  nell’ombra. Un disco che consacra Joe Andrews e Tom Halstead, e che conferma lo stato di grazia della Blackest Ever Black e dei suoi arcani scagnozzi.

25/11/2012

Tracklist

1. Passed Over Trail
2. The Last Foundry
3. Soil and Colts
4. Exist in the Repeat of Practice
5. The Walker in Blast and Bottle
6. Your Cast Will Tire
7. The Dimming of Road and Rights

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