Rickie Lee Jones

The Devil You Know

2012 (Fantasy)
folk, blues, songwriter

Strana storia, quella di Rickie Lee Jones. Una personalità forbita, una voce inimitabile - in bilico costante tra folk e jazz - e una carriera ormai trentennale che l’hanno trasformata, passo passo e suo malgrado, nella Duchessa della canzone americana. Tuttavia, rispetto a molti altri celebrati colleghi, la Duchess Of Coolsville (come recitava il titolo di una sua raccolta) rimane un personaggio di culto che si muove volotariamente nell’ombra, seguito da un’esiguo ma fedelissimo pubblico.
Il motivo e’ tutto sommato semplice: a Rickie Lee Jones piace osare; non ha mai fatto mistero della sua antipatia per le regole del mondo discografico, e piuttosto che sedersi sugli allori ha optato di seguire sempre e comunque la sua personalissima strada, anche risalendo faticosamente controcorrente se necessario.

Certo gli scossoni non le sono mancati, come la svolta techno/elettronica di "Ghostyhead", del 1997 (un lavoro che personalmente trovo molto affascinante, ma oggettivamente non proprio imprescindibile vista la caratura del personaggio in questione), mentre negli ultimi lavori la tendenza generale è stata quella di mettere da parte il suo forbito songwriting - del quale sarebbe maestra - incentrando l’attenzione sulla ricerca vocale e stringando al minimo gli arrangiamenti – risultando in lavori affascinanti ma certo non di facile presa.
Pertanto, in molti ancora oggi ricordano Rickie Lee Jones per il suo bellissimo omonimo disco di debutto (correva l’anno 1979), e per i dorati anni 80, durante i quali - concedendo veramente poco alle sonorità del “decennio sintetico” e mantenendo anzi le polverose atmosfere di quello precedente – toccò l’apice con lo splendido Pirates (1981), e poi con The Magazine (1984) e il raffinato Flying Cowboy (1989) impreziosito ai tempi dalla sobria (e molto ben invecchiata) produzione di Walter Becker degli Steely Dan.

Cosa importa oggi a Rickie Lee Jones delle glorie del suo passato? Meno di zero, pare. Esprimere i suoi stati d’animo attravero l’uso della voce (“quando ero giovane me ne vergognavo, ma col tempo ho capito che è la mia voce, e mi ha servito bene nel corso degli anni” ha raccontato in un’intervista) rimane il punto focale della sua opera, indipendentemente anche dal bisogno di scrivere canzoni originali o meno.
Pertanto, a tre anni dall’ultimo lavoro di materiale inedito "Balm In Gilead", la Duchessa rilascia oggi il suo terzo disco di cover, che segue le orme di Pop Pop del 1991 (una raccolta di deliziose miniature della golden era del jazz e Tin Pan Alley – e che sfoggia in copertina la confezione dei mitici petardi!) e It’s Like This del 2000.

Prodotto da Ben Harper - che firma pure l’unico pezzo originale presente, “Masterpiece” – "The Devil You Know" sembra una scusa per Rickie Lee Jones per andare a rivisitare in maniera decisamente personale (e molto poco ortodossa) vecchi brani piuttosto conosciuti di grandi cantautori del folk e del rock.
Attenzione però: si tengano lontani quelli che, scorrendo distrattamente la tracklist, pensano di poter sentire un pezzo di Van Morrison o di Neil Young “ricantato da una donna”. Rickie Lee Jones ha esperienza a vagonate e - ancor più di Cat Power o Tori Amos - possiede l’innata capacita’ di far suoi brani scritti da uomini, trasfigurandoli al punto da renderli irriconoscibili e rivestendoli di un nuovo significato grazie ad un’interpretazione agli apici dell’intimismo e, inutile negarlo, pure dell’idiosincrasia.

Ascoltare The Devil You Know è un po' come sedersi attorno al focolare e lasciarsi lentamente assorbire da una voce che ci sussurra nell’orecchio di paesaggi malinconici, di polverose strade che si stendono a predita d’occhio e di confessioni di vita vissuta, sorretti da una minima impalcatura acustica che accenna a vecchi blues dimessi sull’onda di un Tom Waits, a scarni canovacci di bluegrass e lievi condimenti pianistici infilati attraverso la buca delle lettere.
Ed e’ proprio questo lo spirito che aleggia per tutto il lavoro; il canto assomiglia piuttosto ad uno storytelling dai toni confessionali, ed il risultato è un disco francamente non per tutti, ma del resto Rickie Lee Jones di dischi populisti non ne ha mai fatti.

Esempio? Basti ascoltare la sua versione dei fatti sull’arcinota “Sympathy For The Devil” degli Stones, posta quì in apertura come per mettere da subito sul chi va là: snaturata da ogni sembianza rock’n’roll, privata quasi di ritmica (e di quei mitici coretti wooh-wooh! che correvano imperterriti per i sei minuti dell’originale), la cavalcata di Jagger si tramuta in una vera e propria conversazione col signor Belzebù in persona, durante la quale la voce di Rickie Lee Jones, pur invecchiata e fattasi sottile, mantiene intatto il suo innato carisma.
Anche “Comfort You” di Van Morrison gioca più col silenzio che non con la forma dell’originale, ma bastano le poche sparute note di piano su “The Weight” (origine: The Band) a ricordare che, quando si tratta di fare una ballata piano-voce, Rickie Lee Jones è ancora lassù nell’Olimpo. Poi c’è “Only Love Can Break Your Heart” di Neil Young che mantiene tutti gli accordi in tonalità maggiore (cosa che non fecero, per esempio, i Saint Etienne) ma rinuncia anch’essa al tempo di valzer, questa volta in favore di una ritmica scarna ed appena accennata, ed il pezzo sembra fluttuare etereo sopra le parole.

La Duchessa si misura pure col traditional “St James Infirmary” che fu - tra gli altri - di Neil Armstrong, e nonostante un paragone per forza di cose schiacciante le riesce pure molto bene perche’, apparentemente, starsene nella “scomoda” terra di mezzo tra folk, pop e jazz sembra essere sua seconda natura.
Lievissimi accenni di folk celtico scaldano “Reason To Believe” di Tim Hardin, mentre “Seems Like A Long Time” (conosciuta attraverso la vociazza di Rod Stewart) si veste di toni quasi sacri, presentandosi su un sottilissimo filo corale e d’organo che a momenti tende al soul (o, visto il produttore in questione, ai Blind Boys Of Alabama...).

Visto che un voto va dato, probabilmente un “6” colloca al meglio questo disco in prospettiva al resto della discografia, visto che in fondo di lavori sul genere la nostra ne ha già pubblicati diversi. Ma, anche senza bisogno fare scomodi paragoni col passato, è difficile non notare che "The Devil You Know" è un disco sì di valore ma tutt’altro che piacevole o accomodante, anzi a tratti quasi respinge all’ascolto, ed è un fattore che presumo inciderà sulle sue sorti - soprattutto nell’era degli ascolti snippet di trenta secondi e dei casuali “mi piace” su Facebook – e vedrà la luce di poche classifiche di fine anno.
Tuttavia una considerazione da “irriducibile amante” mi sento ancora di farla: con tutta probabilità chi già non conosce il lavoro di Rickie Lee Jones potrà rimanere piuttosto indifferente di fronte ad un album scarno e monotono come questo, mentre chi invece l’ha amata in passato potrà dire (e non a torto!) che purtroppo la Duchessa non graffia più come un tempo. I suoi pochissimi seguaci però sappiano che, all’interno di "The Devil You Know", c’è ancora materiale in grado di ammaliare come solo lei sa fare.

26/09/2012

Tracklist

1. Sympathy for the Devil
2. Only Love Can Break Your Heart
3. Masterpiece
4. The Weight
5. St. James Infirmary
6. Comfort You
7. Reason to Believe
8. Play With Fire
9. Seems Like a Long Time
10. Catch the Wind

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