Continua il viaggio attraverso le strade del regno libero per il quartetto di Liverpool con mascherina chirurgica d’ordinanza. A meno di un anno di distanza da “Free Reign”, Mathieu Hartley (chitarra, clarinetto e tastiere), Ade Blackburn (chitarra, tastiere e voce), Brian Campbell (basso e voce) e Carl Turney (batteria) presentano il secondo capitolo dal titolo, in stile sequel cinematografico, “Free Reign II”.
Nella realtà, quello che abbiamo davanti non è un vero e proprio dilatato secondo tempo della stessa pellicola ma piuttosto un remake surreale nel quale gli stessi brani dell’episodio precedente sono remixati con cura, per trarne una inaspettata e nuova energia lisergica e psichica. È cosi che la copertina stessa del previo “Free Reign”, settimo album per la band nata nel 1997, diventa ora il lato negativo (in senso fotografico) della stessa medaglia e, sempre nell’ottica di questa rivisitazione speculare, la tracklist viene, come gli intrecci bianchi e neri delle simmetrie nella cover, rovesciata dalla prima all’ultima traccia.
Se il lavoro lascia pochissimo spazio a modernità di alcun tipo, ripercorrendo le vie psichedeliche degli esordi, spaziando tra Can e reminiscenze pinkfloydiane e rinunciando a quel tentativo, intrapreso sul finire del primo decennio del nuovo millennio, di dare strutture ben più canoniche e pop alla propria musica realizzando canzoni dall’assetto più consono al mainstream, certamente gran parte del merito è da attribuirsi a Daniel Lopatin, principe dell’hypnagogic pop meglio conosciuto come Oneohtrix Point Never, che ha avvolto il sound della band britannica in un'aura oscura, sferzante e seducente, sempre nel rispetto di quella specie di omaggio allo psych-rock di decenni fa e alla scena kraut-rock, dai Can e il free-jazz (“Sun And The Moon II”) ai Neu! (“You II”), senza disdegnare cenni alla neopsichedelia di Spiritualized e Black Angels (“King Kong II”, “Seamless Boogie Woogie BBC2 10pm (rpt) II”, “Done And Dusted II”).
“Free Reign II” lascia inalterati tutti punti di forza del sound Clinic, non ne snatura minimamente la quintessenza, piuttosto si limita a limare con efficacia quelli che potevano essere gli aspetti meno convincenti, come la tenace dose di polvere adagiata sulle note e una certa incapacità di suonare “nuovi” (certo il genere stesso non aiuta le considerazioni sull’originalità).
Il risultato è alla fine uno dei migliori lavori, per quanto lontano dal possibile album che regali il loro nome alla storia, dai tempi degli esordi di “Internal Wrangler” prima e “Walking With Thee” poi. Oltre ai brani più classici, convincono anche gli intermezzi, lievi come una lenta danza romantica ballata sulle note di una band avvolta nella nebbia, tra suoni di fiati soffocati dal fumo denso e voce che echeggia nel tempo immobile (“For The Season II”); cosi come conquistano i pezzi più azzardati, litanie beckiane fondate su basi acidissime (“Miss You II”) o funky deliranti (“Cosmic Radiation II”) che mostrano gli anni Sessanta come in uno squarcio angusto nello spazio tempo.
Nella parte conclusiva (“See-Saw II”) si raggiunge il culmine, il punto più alto di tutta l’opera, il riassunto perfetto del messaggio dei Clinic. Un mix di psichedelia funky, vagamente nostalgico ma terribilmente attuale, con una potenza straordinaria, quasi punk per aggressività sostanziale, che, incanalata dalla sezione ritmica martellante, finisce per esplodere in una miriade di effetti sonori cosmici mentre, poco prima del finale vero e proprio (la bonus track “Done and Dusted II”), la musica dei Clinic, rileggendo con enfasi la lezione dei Suicide, si apre in tutta la sua irriverente e brillante grandezza (“Misty II”), sfondando con eleganza ogni muro che opprimeva il full length passato e rivelando una realtà irreale e senza paragoni, in un’orgiastica e sensuale mescolanza tra ritmica e voce.
“Free Reign II” è quindi una rilettura dell’opera numero uno dell’anno 2012, volta a migliorarne soprattutto gli aspetti più diretti e immediatamente percepiti dalla nostra pelle, senza ovviamente minarne la struttura portante. I Clinic riescono effettivamente a dare un impatto maggiore e a far sì che la musica colpisca l’ascoltatore con una linea d’impatto senza deviazioni, specie se si prendono i brani nella loro singolarità, ma ovviamente, se si parte da materia mediocre e niente più, si può fare solo poco meglio; si può creare qualcosa di discreto ma di certo niente di più.
23/07/2013