And if you're in love, then you are the lucky one,
'Cause most of us are bitter over someone.
Setting fire to our insides for fun,
To distract our hearts from ever missing them.
But I'm forever missing him.
Tormentato, inquieto, inteso, cupo: si può definire in molti modi l’esordio dei Daughter. A un primo impatto lo si può far passare come un disco capace di raccontare al meglio quel disagio che, certe volte, si può provare nel corso di una vita. Un disco votato unicamente al pessimismo. L’errore sarebbe proprio quello di fermarsi qui, analizzando "If You Leave" sotto questa unica chiave di lettura. L’esorcismo compiuto attraverso la voce di Elena Tonra è, al contrario, quanto di più vitale ci possa essere: la giovane inglese è capace di scavare nelle zone più recondite dell’animo e affrontare a viso aperto quelle angosce esistenziali con cui spesso si devono fare i conti. Un viaggio interiore tanto coraggioso da intraprendere, quanto liberatorio una volta giunto alla conclusione.
La storia dei Daughter inizia nel 2010 nel nord di Londra, come moniker scelto dalla Tonra per incidere un primo Ep di demo; in breve tempo il compagno di studi al college Igor Haefeli entra a far parte del progetto, lavorando insieme per "His Young Heart", nuovo Ep sempre autoprodotto che vede la luce agli inizi del 2011. Sistemata la formazione, con l’ingresso di Remi Aguilella alla batteria, il passaggio da progetto solista a gruppo può dirsi completato con l’incisione di un terzo Ep "The Wild Youth" per la Communion. Queste prime prove discografiche contribuiranno in maniera decisiva alla carriera dei Daughter: grazie a essi infatti e alle prove live fornite, la band si crea una solida fanbase e attira numerose attenzioni, fra le quali la più importante è certamente quella della 4AD, che li mette sotto contratto. Elena Tonra, a tal riguardo, dichiarò: "Non potremmo essere più felici di lavorare con la 4AD, un’etichetta che ha prodotto molte opere per noi ispiratrici e di cui teniamo in grande considerazione l’etica".
Non sono semplici parole di circostanza quelle pronunciate dalla
lead-singer del gruppo, il cui
songwriting ha certamente più di un punto in comune con i compagni di etichetta
St. Vincent e
Bon Iver. Soprattutto le fascinazioni di quest’ultimo, nella sua versione più scarnificata e viscerale, sono accostabili a "If You Leave", esordio sulla lunga distanza del terzetto londinese, unite alle atmosfere più ombrose di
Esben and The Witch, spogliati totalmente della loro componente dark. Prodotto da Haefeli assieme a Rodaidh McDonald (
Adele,
The XX) e Jolyon Vaughan Thomas, è un album che vive la propria dimensione eterea trasmettendo i propri messaggi, con la stessa forza comunicativa, sia attraverso tenui sussurri, sia con piglio ben più deciso. Il biglietto da visita, altamente esplicativo sui contenuti del disco, è "Smother", uscito come singolo nel mese di ottobre, in cui la Tonra racconta un periodo di vero e proprio "guasto" a livello umano e personale, arrivando a desiderare di non essere mai nata: "I sometimes wish I’d stayed inside/ My mother/ Never to come out".
Erroneamente etichettati, fin dagli inizi, come gruppo di matrice folk, probabilmente per colpa dell’immaginario derivante dalla visione della ragazza con la chitarra chiusa in cameretta a comporre, i Daughter fondono in realtà al meglio il minimalismo degli xx con l’incisività lirica di Justin Vernon, dimostrando allo stesso tempo di essere in grado di proporre un suono ricercato e alquanto personale. La lezione degli xx viene assimilata al meglio e rielaborata in episodi come la traccia d'apertura "Winter" o "Still", non tanto per lo stile del cantato di Elena Torna, decisamente più pulito rispetto a quello di Romy Madley Croft, bensì per la capacità di inserire beat elettronici all’interno di una struttura fondata su glaciali linee di chitarra e sulla precisione ritmica di Remi Aguilella.
"Youth", già presente nel precedente Ep e qui riproposta in una versione leggermente velocizzata, modellata sopra un
pattern ciclico piano-forte assume i toni di una cavalcata che, se non fosse per il contenuto dei versi, definiremmo trionfale. Discorso analogo per la magnetica "Tomorrow", sporcata dal riverbero di chitarra quel tanto che basta per sottolineare la visione in chiaroscuro del domani.
Proprio i testi, come già detto, assumono un ruolo preminente nella valutazione dell’opera dei Daughter: senza voler addentrarci in un’analisi del testo che risulterebbe quanto mai poco chiarificatrice, ci limitiamo a dire che le parole di Elena Tonra viaggiano su due livelli interpretativi paralleli. Il primo è quello riguardante la sfera più personale e intima dell’autrice, che non sfugge mai l’uso della prima persona singolare nel descrivere le sensazioni, gli umori, le passioni viscerali. Il secondo è l’elaborazione individuale che ognuno può dare ai versi delle canzoni, che restano avvolte sempre da un certo alone di mistero, mettendo in luce l’universalità dei temi trattati. Non solo momenti eterei e astratti, come nell'algida e conclusiva "Shallow", ma anche le pulsioni di natura strettamente fisica espresse in "Lifeforms" e il desiderio di un contatto umano bramato in "Touch".
Melodie immediate, originalità nei suoni, profondità dei temi trattati, tutto seguendo una linea poetica di assoluta coerenza: sono tanti i pregi riscontrabili nell’esordio dei Daughter. Eppure siamo di fronte ad un’opera a cui non è possibile approcciarsi con leggerezza e superficialità: l’esperienza che se ne ricaverebbe dall’ascolto sarebbe oltremodo riduttiva, rispetto al talento messo in campo. Le suggestioni atmosferiche che pervadono "If You Leave" permettono, a pieno titolo, ai Daughter di raccogliere l’eredità morale lasciata da Bon Iver; se ne saranno degni in futuro non ci è dato saperlo, di certo il presente è tutto loro.
01/03/2013