Se avete seguito il giovane Lapalux durante le prove su breve formato degli ultimi anni, vi sarà probabilmente bazzicata in mente la domanda cruciale: "Come suoneranno queste indagini sonore su album?". Lungo gli Ep "Forest" e "Many Faces Out Of Focus" del 2011, e poi con lo sbarco alla Brainfeeder di Flying Lotus e le otto tracce di "When You're Gone", il ragazzo era andato a fondo nelle sue possibilità creative e aveva tirato fuori una bella gamma di sperimentazioni originali lungo tutta la serie di derive recenti dell'elettronica intelligente che va dal wonky al future-garage. Tenendo sempre un livello qualitativo oltre la media, ma dando la netta sensazione che il producer britannico si stesse fondamentalmente affilando le unghie, provando le direzioni più disparate in attesa che si aprisse una visione d'insieme esplorabile sulla lunga distanza.
Tutto perfettamente adatto alla dimensione Ep ma, si sa, l'album comporta sfide differenti e non è da tutti muoversi come prima di lui aveva fatto James Blake, traducendo le proprie teorie di decostruzione nell'approccio cantautoriale che abbiamo conosciuto col primo album. E Blake, tra l'altro, è stato per lungo tempo il termine di paragone più frequente circa Lapalux, per via di un comune approccio astratto applicato ai fermenti post- degli ultimi anni. Il 25enne pupillo di FlyLo, però, stava seguendo un percorso diverso, in pezzi come "102 Hours Of Introduction" sembrava prediligere una maggiore corposità sonica fatta di affinità jazz e r'n'b e l'idea che l'annunciato album potesse essere un'alternativa di peso alle stilizzazioni soulstep emerse nel 2011 si stava facendo strada tra le speranze degli ascoltatori dal più sviluppato senso critico.
Quel che è accaduto con questo Nostalchic, invece, non è stato esattamente il colpo di coda sorprendente che molti si aspettavano. L'album scorre su un impianto melodico delicato, ragiona per armonie cantate e si rilassa su forme che riconosceranno in molti, in mezzo a certe dialettiche tra dream-pop e glo-fi del primo Bibio ("Guuurl", "Dance"), al materiale meno lugubre venuto fuori l'anno scorso dalla Tri Angle (leggi Howse o Evian Christ, "Without You") e a una manciata di astrazioni avanzate sulla materia r'n'b (peraltro dal buon tasso emozionale, "Walking Words" e "One Thing") e niente di tutto questo può dirsi scontato o banale.
Ma non è un album fatto di quei colpi di genio che ti lasciano a bocca aperta, e i pochi momenti fuori dal comune (come quel prisma di fervore ritmico e vocalizzi pizzicati che è "Flower") rappresentano la scelta dettata dal coraggio, a cui però non ci si può lasciare andare. Si punta piuttosto a plasmare un proprio stile, che vuol essere originale ma non troppo e finisce dunque per non stupire quanto dovrebbe. Non c'è poi tanto da recriminare in realtà, ma vien da chiedersi quanto lui stesso non ritenga perfettibile il risultato.
10/06/2013