Ron Sexsmith

Forever Endeavour

2013 (Cooking Vinyl)
songwriter

Davvero curiosa la vicenda artistica di Ron Sexsmith, talentuoso autore di canzoni amato dai colleghi come dalla critica ma vanamente proiettato verso un successo commerciale che gli è sempre sfuggito. Giunto con “Forever Endeavour” al traguardo del tredicesimo album, il cantante e musicista di Toronto sembra guardarsi alle spalle per tracciare un consuntivo dopo oltre venti anni di invidiabile carriera (ma le prime cassette, autoprodotte, risalgono addirittura al biennio 1985-86). Il fisico non è certo quello asciutto degli inizi, le primavere sono ormai quasi cinquanta e i figli vanno per la trentina: naturale quindi voler tirare le somme per poi imboccare, eventualmente, direzioni nuove o strade non battute da tempo. Per quanto anche i suoi lavori più fortunati (l’eponimo del 1995, “Whereabouts” e soprattutto “Retriever”) non gli abbiano consentito di evadere dallo sconfortante limbo delle eterne promesse, le soddisfazioni non gli sono mancate: assai apprezzato dai vari Elvis Costello, Paul McCartney, Steve Earle, Elton John e Feist – tutti autori di cover di suoi brani – ha avuto l’onore di duettare con Leonard Cohen e Ray Davies, è stato il soggetto di un film documentario pluripremiato in Canada (“Love Shines” del 2010) e si è aggiudicato il Juno Award 2011 come songwriter dell’anno. Nonostante gli attestati di stima, Sexsmith non ha mai abbandonato il suo proverbiale basso profilo e anche la scelta emblematica di affidare la produzione del nuovo album a Mitchell Fromm (senza Tchad Blake questa volta) piuttosto che ai leziosi collaboratori di lungo corso Martin Terefe e Bob Rock non può che orientare in tal senso ogni riflessione.

Si tratta di un ritorno alle origini per il cantautore, visto che Fromm fu l’artefice del sound umile e nel contempo elegante dei suoi primi dischi. Dopo il disinvolto “Long Player Late Bloomer” di due anni fa, Ron ritrova così la dimensione che gli è forse più congeniale, mostrandosi perfettamente a proprio agio in un clima più misurato, quasi depurato, che è ben lontano dalle esagerazioni formali o dall’enfasi ruffiana di artisti ben più rinomati di lui in territori musicali analoghi. Non è azzardato parlare allora del “solito” Sexsmith, senza sottintendere per questo chissà quali note di demerito: un intrattenitore garbato, che ha gusto negli arrangiamenti come nelle soluzioni melodiche, non riserva grandi sorprese ma nemmeno delude. L’impronta sposa i consueti voce e chitarra di sostanza a fregi orchestrali di sfondo (archi e fiati) ricchi senza essere invadenti, per una prova di artigianato rimarchevole attestata sul canone di un personale classicismo, tenuamente malinconico ma adulto, alla maniera di Paul Simon. Con semplicità e poche sfumature minime il cantante canadese sa sempre come rinfrancare, anche se l’intonazione non eccede mai in tonalità particolarmente sgargianti e l’umore si mantiene a debita distanza dalla frivolezza. Di certo non ha alcun senso parlare di lui tirando in ballo aggettivi come “scarno”, o “crudo”: la sobrietà nei solchi di “Forever Endeavour” – innegabile – si apprezza fondamentalmente come eliminazione di orpelli inutili, non di calore o emozioni. Forse il suo fare da gentiluomo compassato ne ha penalizzato negli anni i riscontri, ma è indubbio che resti una più che gradita certezza per gli ascoltatori che gli si concedano con rinnovata fiducia: le grandi suggestioni della sua voce in “Blind Eye” o le esili architetture di “Deepens With Time” valgono come adeguata ricompensa, confessioni genuine di un vecchio amico nel suo registro romantico non artefatto.

Occasionalmente (“Snake Road”, “She Does My Heart Good”) tornano a farsi sentire anche quei parallelismi con Rufus Wainwright che una decina di anni fa sembravano quasi un passaggio obbligato nelle recensioni di qualsiasi disco di Sexsmith. Nel loro sviluppo più brioso e tendente al pop, il ricordo va però alle ultime cose dell’artista newyorkese più che all’intimismo estatico di “Poses”. Episodi come questi o come la spigliata “Back of My Hand”, dove i debiti verso McCartney diventano oltremodo pesanti, si offrono come strappi preziosi in una scaletta che tende più che altro all’introspezione, mentre la palma per il miglior alleggerimento spetta di diritto allo schietto autoritratto Dixieland di “Me, Myself and Wine” pennellato dal clarinetto.  A lasciare davvero ammirati è però la meraviglia tratteggiata a più riprese con un riserbo d’altri tempi, anche nelle due pregevoli tracce bonus. Un senso di gratitudine sincera e redenzione che “Life After a Broken Heart” suggerisce già dall’intestazione, ma che trova la sua pagina migliore nel delicato crooning notturno dell’ideale congedo, “Autumn Light”: la pace nel cuore nonostante le “interminabili imprese” cui allude il titolo della raccolta, la grazia cantata dal proprio piccolo angolo nel mondo con l’imperfezione umanissima che da sempre rende Ron Sexsmith un cantautore amabile, speciale.

29/03/2013

Tracklist

  1. Nowhere to Go
  2. Nowhere Is
  3. If Only Avenue
  4. Snake Road
  5. Lost in Thought
  6. Blind eye
  7. Sneak Out the Back Door
  8. Back of My Hand
  9. Deepens With Time
  10. Me Myself and Wine
  11. She Does My Heart Good
  12. The Morning Light
  13. Life After a Broken Heart
  14. Autumn Light

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