Come un racconto di science-fiction, la formula sonora dei Warm Digits è un mix di idee prevedibili e piacevoli intuizioni sonore: il duo inglese non fa infatti mistero della sua ammirazione per i Can e i Neu!, non disdegna la lezione del maestro Brian Eno e si lascia tentare dal noise e dallo shoegaze, senza ignorare gli ultimi venti anni di pop-rock inglese.
A questo punto a molti viene lecito chiedersi quale sia il motivo per ascoltare il loro secondo album “Interchange”: in verità non saprei rispondere e non cercherò di convincere nessuno a farlo, ma per chi gradisce piacevoli surrogati di quanto su esposto, posso garantire quaranta minuti piacevoli e poco impegnativi.
Andrew Hodson e Steve Jefferis hanno preso molto sul serio le convinzioni di Simon Reynolds, abbracciando la sua visione di una musica non più creativa e pensante ma amministratrice delle sue migliori intuizioni, ed ecco che l’esordio “Keep Warm” pullulava di stralci di dance-music affiancate a un contesto di moderna elettronica con risultati spesso interessanti e rimarchevoli.
Le prospettive di “Interchange” sono leggermente diverse, la musica prende spunto dal connubio tra arte e manufatti di utilità civile, più in particolare dalla costruzione negli anni 70 della metropolitana del Tyne and Wear che serve il nord-est dell’Inghilterra.
La presenza di un brano intitolato “Trans-Pennine Express” nel precedente album non fa mistero della volontà del duo di seguire le orme dei Kraftwerk: nonostante non abbiano l’indole visionaria del gruppo teutonico, i Warm Digits proseguono nel loro amabile insieme di musica robotica e avvolgenti sonorità retrò con una maggiore attenzione alla capacità descrittiva dell’elettronica contemporanea.
Il beat elettronico di “Cut And Cover” è la linea guida sulla quale chitarre graffianti e synth sibilanti rinnovano alcune suggestioni del rock anni 70 e 80, nostalgia e futurismo viaggiano insieme tra arpeggi che tradiscono inflessioni kraut e progressive (“The Connected Coast”), stimoli funky (“Tyneside Electrics”), ottimismo post-rock (“Terminus”), raggiungendo l’acme nel grintoso mix di chitarra elettrica e synth-beat pulsante di “Working For A Better Future”, senza mai perdere un equilibrio estetico che renda godibile una musica già ampiamente digerita e metabolizzata negli ultimi trent’anni di rock elettronico.
10/01/2014