Autore: Simon Reynolds
Titolo: Retromania
Traduzione: Michele Piumini
Editore: ISBN
Pagine: 506
Prezzo: Euro 26,90
Dopo aver trascorso un paio di decenni a scrivere autorevoli e lungimiranti articoli, Simon Reynolds si è imposto all'attenzione mondiale grazie alla brillante idea di raccoglierli in libri che si sono trasformati in imperdibili cult, aggiudicandosi il ruolo di più credibile successore di Lester Bangs nel gotha dei critici musicali contemporanei. In "Energy Flash", "Post Punk" e "Hip Hop Rock" ha tracciato analisi e riflessioni allargate alle moderne evoluzioni della società, della moda, del costume, della politica, delle letteratura e del cinema.
Ogni suo nuovo libro è atteso tanto quanto un album di una delle band che pone sotto la lente d'ingrandimento: una star avente lo stesso pregio dei personaggi raccontati o intervistati nei propri elaborati. In tale contesto, "Retromania" si posiziona come il personale viaggio all'interno dell'ossessione per il passato che attanaglia ogni generazione, ma soprattutto la nostra.
Tutto parte dal "mal d'archivio", dalla tendenza a "musealizzare", quel delirio iper-documentale innescato dalla tecnologia digitale, generatrice di una vera e propria epidemia di ricordi. La presenza del passato nella nostra vita si è incrementata in maniera insidiosa: da un'economia culturale fondata sulla penuria e sulla dilazione, nel giro di pochi anni siamo stati catapultati in una realtà iper affollata, nella quale l'eccesso di stimoli reclama tempo e attenzione. Nell'era dello zapping musicale, l'introduzione degli mp3 e l'esplosione di YouTube hanno incrementato all'ennesima potenza la facilità con la quale è possibile procurarsi musica e informazioni di ogni genere ed epoca, senza alcun limite fisico, anche se il livello di approfondimento resta minimo a causa della sindrome da deficit d'attenzione, causata dall'eccesso di dati immediatamente raggiungibili.
Internet elimina i costi, tutto è setacciabile con minimi dispendi economici, è facile innestare vertiginose operazioni archeologiche, e non è difficile restarne inconsapevolmente influenzati. "La limitazione è la madre della creatività", diceva Holger Czukay dei Can, contrapponendo con decisione l'approccio minimale della band kraut al massimalismo del prog-rock. Nell'attuale contesto il downloading e l'i-pod diventano i simboli della compressione, YouTube il manifesto dell'indiscriminato caos derivante dall'incontrollabile recupero culturale amatoriale.
Reynolds inserisce nel discorso una serie di ulteriori variabili per rafforzare la tesi dell'influenza di ere musicali precedenti su quella odierna. Ci parla di reunion, citando alcuni casi riusciti (Throbbing Gristle, Gang Of Four), accanto ad altri decisamente meno, dettati solo dalla brama di far soldi (New York Dolls, ma aggiungerei anche Sex Pistols). Non di rado artisti importanti hanno deciso di riproporre dal vivo album del passato, con la medesima scaletta originale: gli Sparks portarono l'idea alle estreme conseguenze, eseguendo tutti e ventuno i loro album in altrettante serate a Londra nel maggio 2008.
Persino i musicisti che non hanno mai interrotto la propria attività faticano a resistere alle opportunità offerte da un tuffo nel passato: pochi anni fa i Sonic Youth eseguirono "Daydream Nation" in ben ventiquattro occasioni, una "nostalgia alternative" incoerente da parte di chi scrisse uno dei propri manifesti stilisitici intitolandolo "Kill Your Idols". Le booking agency ovviamemte vanno a nozze con questa tendenza: pare che quando un gruppo sia attivo da tempo, i fan preferiscano ascoltare i classici piuttosto che i lavori più recenti.
Ci sono poi le cover band, protagoniste della moda della ricostruzione artistica, che arrivano a riproporre concerti realmente avvenuti in passato, come nel caso di David Bowie che elimina Ziggy Stardust. In una sorta di assimilazione cannibalistica delle proprie influenze e icone, alcuni gruppi giungono persino ad incorporare nel proprio nome quello di artisti precedenti, vedi il caso dei Brian Jonestown Massacre oppure dei Mooney Suzuki (dai primi due cantanti dei Can). Si cerca un tuffo nel futuro e ci si ritrova scaraventati nel passato, in un preoccupante stallo temporale.
In questo contesto anche gli artisti nuovi sono nient'altro che la somma di fenomeni già vissuti. Lady Gaga mescola decadenza glam anni 70 (Bowie), look eccessivo anni 80 (Grace Jones, Madonna, il voguing), neo-dark anni 90 (Marilyn Manson) ed electroclash primi Duemila. La musica di Lady Gaga integra la retro-robotica anni 80 con caratteristiche assolutamente contemporanee come efficienza, implacabile orecchiabilità e perfezione cosmetica: amalgamando passato e futuro, avanguardismo e showbiz di massa, svuota però gli uni e gli altri di ogni significato. Non a caso è diventata l'icona pop dei nostri tempi, confermando il lento ma costante tramonto dell'imperativo artistico dell'originalità, sostituito dalla creazione di qualcosa di assolutamente già sentito, pur se formalmente impeccabile e curato in ogni minimo dettaglio.
La mania riciclatoria che diventa stratificazione nostalgica attraverso la sovrapposizione di ere è stata sperimentata anche da Goldfrapp quando propose un glamour anni 30 alla Marlene Dietrich filtrato con il glam-rock dei Seventies. Anche alcuni fra i generi più amati negli anni 90 (grunge, brit pop) vengono interpretati da Reynolds niente altro che come una congiura tesa ad impedire che i suoni innovativi tornassero ad essere la musica preferita dai giovani.
L'autore coglie l'occasione anche per aggiornare il percorso enciclopedico intrapreso con i suoi libri precedenti, soffermandosi sui più recenti generi musicali ai quali si è interessato, fra i quali l'hypnagogic pop ed il movimento hauntology (i precursori furono i Boards Of Canada), analizzando quanto le loro radici siano ben piantate negli stili degli anni passati. Assume quindi centralità un quesito atroce: se oggi avessimo il tempo per ascoltare davvero i dischi, ne possederemmo molti di meno?
Ma il gusto per il passato non è certo un fenomeno nato nei giorni nostri: da sempre si inventano a posteriori generi musicali per creare un mercato (Northern Soul e Garage Punk sono nomi coniati a posteriori, non certo utlizzati all'epoca). I Kraftwerk, a partire dal 1974, inventarono gli anni 80 a suon di sintetizzatori mentre cercavano nel passato un'idea del futuro, invocando il modernismo mitteleuropeo delle Autobahn e di "Metropolis". Oggi siamo però al cospetto di una situazione dove esiste solo il vecchio, e il nuovo viene clamorosamente a latitare. L'universo delle ristampe e delle deluxe edition è in continua espansione, e non si rivolge più soltanto a tendenze risalenti a venti o trent'anni prima, bensì anche solo a due o tre anni. Come se non bastasse, tutte le mode retrò si scontrano con il problema della finitezza del passato: così una volta raschiato il barile, per far sopravvivere la scena, occorre scrivere nuove cose "vecchie".
Il ritorno del vinile, e persino della musicassetta, sono considerati simboli benvenuti dai nostalgici, ma che palesano un'ossessione per i media estinti in grado di sviluppare impulsi a frenare il progresso tecnologico. Reynolds prende spunto dall'argomento del libro per raccontarci aneddoti sia di giganti del passato (belle le panoramiche su Beatles, Patti Smith, Frank Zappa e Creedence Clearwater Revival), che di derive contemporanee, vedi DJ Shadow e altri rastrellatori che si affermano grazie al sampling, ritagliandosi una notorietà frutto di estenuanti ricerche di brandelli di musica dimenticati in qualche mercatino della memoria.
L'autore racconta tutto con grande lucidità, senza lesinare critiche, inglobando sé stesso come parte del sistema (in quanto ammiratore di alcuni dei generi retromani analizzati), snocciolando interessanti teorie sul collezionismo, dissertando su sharity, vintage, mash up e altri neologismi. L'analisi diventa anche sociologica, attraverso la denuncia di un futuro che non c'è stato: lo spartiacque dell'anno duemila non ci ha introdotti ad una nuova epoca fatta di tutto l'immaginario fantascientifico pensato durante il secolo scorso.
Viviamo la frustrazione per un futuro (inteso come significativo progresso) che in campo culturale non arriva mai: continuiamo a vivere oppressi dalla nostalgia della cultura pop che archiviamo freneticamente sul web. Oggi il futuro non è più visto come nella serie "I pronipoti", bensì come un preoccupante mix di catastrofi, con l'incapacità di generare visioni allettanti e promettenti del mondo di domani.
Nella parte finale del libro c'è un bel focus sulla scena rave, considerata dall'autore l'ultimo trend musicale in grado di generare uno stile di vita con rituali propri. Rave e techno furono gli ultimi fenomeni musicali a dare l'impressione di muoversi in avanti, l'ultimo lampo di futurismo privo di ironia nel mainstream pop. Terminata la propria spinta propulsiva, però, persino un movimento progressista come la dance elettronica si ripiegò sulla propria preistoria, con revival acid house ed electropop: già nella prima metà dei Duemila nella trance e nella jungle si riciclavano idee di pochi anni prima, mentre l'acid house arrivò alla terza o quarta risurrezione.
Attorno al 2006 si scatenò persino una sorta di battaglia retro-rave, capitanata dai Klaxons, dove l'euforia era inesorabilmente filtrata attraverso un vago e prismatico senso di rimpianto. Oggi gli ultimi scossoni sono innescati dai beat nervosi di Burial, che imitano la frenesia iper-sincopata della musica rave britannica. Ma i sintetizzatori nebulosi, le anelanti schegge vocali, il manto campionato di pioggia e sibili di vinile rendono le sue tracce più adatte a fantasticherie malinconiche private che non a una pista da rave: la dubstep che diviene una danza hauntologica per night club abbandonati.
Non vi anticipiamo le conclusioni di Reynolds, riportate nel magistrale capitolo finale, ma è chiaro come nel paesaggio musicale odierno non si scorgano elementi in grado di alimentare future forme di revivalismo: prima o poi il riciclaggio finirà per degradare la materia prima al punto da renderla inutilizzabile. Esiste la possibilità che il nuovo possa giungere dall'esterno, magari dalle regioni non occidentali, la cui cultura è meno esausta ed esaurita. Nel frattempo oggi siamo in una fase di iperstasi e allora diviene legittimo chiedersi: la retromania durerà per sempre oppure si rivelerà una fase storica a sé stante?
Menzione speciale per Michele Piumini, traduttore ufficiale dell'opera di Simon Reynolds, in grado di rendere miracolosamente bene in italiano la vivace scrittura dell'autore inglese, senza perdere nulla, nemmeno dei modi di dire più coloriti, dei neologismi e dei tecnicismi presenti in volumi di questo genere.
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