Viene dal giro di Oldham, in qualità di membro della Cairo Gang, la nuova artista lanciata da Jagjaguwar: si tratta di Angel Olsen, che registra qui il suo secondo disco, frutto di una sessione piuttosto vivida e istintiva, dieci giorni di fuoco in North Carolina.
Tra nenie che cercano di conquistare col loro “vibrato” materno (la lunghetta “Enemy”, l’ovattata, jazzy “Iota”), la Olsen esplora nuovi territori e cerca di conquistare, sull’onda del riverbero, con l’outlaw country di “Hi-Five”, giocando col piglio, tra il broncio di Scout Niblett (il disadorno farfugliare ossessivo di “Unfucktherworld”) e suggestioni più alla Pj Harvey, in “Stars”.
La scrittura non brilla, anche se il numero di registri e di stili richiamati aumenta col numero delle tracce (il garage di “Forgiven/Forgotten”, le sfumature Velvet Underground della ballata country di “Lights Out”). Ma il tutto non riesce a mascherare, più che la medietà del songwriting, soprattutto i limiti espressivi della Olsen, intrappolata in un tono vagamente dolente e sanguigno, che si avvita su sé stesso senza mai trovare respiro in una melodia, se non in un momento di vera emozione.
09/02/2014