Una leggera riverenza e un po’ di timore mi assale ogni volta che Shara Worden dà alla luce un nuovo progetto discografico, mentre la prima tentazione è quella di sintetizzare in poche parole le sensazioni e la valutazione del suo quinto album, sono oltremodo consapevole che tutto quello che vale per molti altri artisti perde senso quando la musica dei My Brightest Diamond invade l’ambiente d’ascolto.
Che sia una grigia camera in fitto, una variopinta e variegata stanza da studente in ritardo con gli esami o il disciplinato studio di un professionista nostalgico degli anni 70, la musica di “This Is My Hand” modifica la percezione emotiva e coinvolge in una esperienza auditiva sempre ricca e intelligente.
Per chi non ha ancora approcciato la musicista americana è fuorviante citare il suo passato come corista di Sufjan Stevens, le coordinate sonore sono piuttosto quelle di St Vincent, Portishead, Cocteau Twins o Jesca Hoop, il tutto arricchito da una buona conoscenza delle sette note e una personalità che si sta pian piano modellando con sufficiente originalità.
L’idiosincrasia insita nella struttura sonora è di forgia malleabile e mai oscura, anzi a volte talmente cristallina da sembrare tagliente e cinica, altresì la sua abilità nel trasformare il nulla in musica è sempre evidente, come nella title track che indugia in una monotonia vocale assimilabile a un loop, intorno al quale crescono efflorescenze orchestrali ricche di pathos.
La vera novita di “This Is My Hand” sono le creazioni ritmiche da marching band che prendono il sopravvento sul lirismo sempre sognante della Worden, dando corpo solido alla liturgia funky-jazz di “Lover Killer” o al noise-soul di “I Am Not The Bad Guy”, che fanno pensare alla recente conversione black di Joan As Police Woman più che alle tentazioni sublimanti di St Vincent.
Resta comunque impossibile resistere al geniale up-beat dell’introduttiva “Pressure”, che ci fa ricordare perché amavamo tanto i primi due album di Bjork: ovvero per quell’incedere da incubo urbano in terra coltivata, che riusciva a mettere insieme dubbio e certezza con lo stesso candore del parto. Ma è la sublime “Shape” l’apoteosi di questo incontro tra ritmo e ricerca armonica, un brano che fa impallidire ogni tentativo di artisti come Philip Glass di confrontarsi con l’articolato mondo pop.
Abile nel reinventarsi ancora una volta, My Brightest Diamond rimette sempre in equilibrio le inevitabili rese dell’ispirazione grazie alle sue incursioni in territori più melodici e delicati, dove l’autrice mette in gioco coraggio e azzardo.
Immaginazione e poesia animano la raffinata e articolata ballad “Looking At The Sun”, mentre la Worden affonda ancora una volta le mani nel grande magma del chamber-pop e del dream pop con l’eterea “So Easy”, mostrando una leggera fragilità emotiva legata ai ricordi infantili che sono poi la vera fonte d’ispirazione del disco.
“This Is My Hand” è comunque l’album più immediato dell’artista americana, un progetto che mette un'altra pietra nella ascesa verso la celebrazione del suo talento di autrice, la forza introspettiva della sua musica garantisce la mancanza di eccessi e gigionerie che hanno già bruciato carriere ben più nobili.
Se Shara Worden conserverà questo pregevole senso della misura anche nelle sue future reincarnazioni sonore sarà difficile ignorane l’esistenza, nel frattempo il suo nuovo progetto conferma che le ambizioni e le qualità messe in luce da “All Things Are Unwind” sono ancora solide e vibranti, e se un diamante acquista calore e purezza col passare del tempo si è ben consapevoli del perché la musicista abbia scelto questo moniker.
25/10/2014