Instancabile come da qualche anno a questa parte, Mika Vainio sforna a inizio 2014 uno dei suoi lavori più convincenti e concreti, che torna peraltro a far luce sul moniker Ø. Se con il proprio nome d'anagrafe il finlandese continua a spaziare fra ritorni alla minimal graffiante dei Pan Sonic (l'indimenticato "Life... It Eats You Up"), escursioni nell'avanguardia concettuale ("Magnetite" su tutti) e nell'isolazionismo ("Kilo", l'eccellenza dell'anno scorso), questo suo side project fa da sempre rima con sottrazione sonora ed è forse l'unico dei suoi progetti ad aver mantenuto una discreta costanza stilistica negli anni.
Si tratta di fatto dell'anima più vicina al filone abstract di Vainio, di quel filo conduttore che lo unisce a parecchi dei suoi discepoli indiretti – se c'è qualcuno che ha previsto, con almeno una decina d'anni d'anticipo, l'esondazione abstract-techno di casa raster-noton, quelli sono proprio i Pan Sonic. E "Konstellaatio", che riapre la saga a tre anni da "Heijastuva", trasporta il vuoto glaciale già magistralmente descritto nel meraviglioso "Oleva" dritto sulla Via Lattea. Non c'è più nulla di terreno nella musica di Vainio, nessun inchino alla natale Finlandia come alle origini della saga Ø, nessun segno vitale che sgorghi dai beat.
Lo spazio aperto è così riprodotto integralmente, attraverso una serie di oscuri droni che ne disegnano le sue componenti più ignote: il trittico "Elamäan Pu–Syvänteessa–Pukinjalkaisen" costituisce a riguardo un climax, una progressiva penetrazione in un'oscurità fatta di beat imperscrutabili prima, semplicemente al limite dell'inesistenza poi. Se questi battiti asettici sembrano toccare il vuoto del cosmo infinito, altrove l'astronave fluttuante si ferma su pianeti e stelle: a essi corrispondono i momenti più concreti, come le taglienti "Otava" e "Neutronit" o il bagliore di luce di "Syvidessä Kimallus".
Di vita, però, non c'è traccia: è un universo meccanicista quello illustrato da Vainio, sostanza pura senza alcun disegno prestabilito, che procede per derivazione e conseguenza di se stesso. Non ci sono limiti né confini e il tutto è reso con una tecnica quasi opposta a quella di recente adottata nei lavori a suo nome, che al calcolo e alla sperimentazione pura preferisce pulsazioni, vibrazioni e scosse conseguenti, spontanee. Il carillon lontano che in "Takaisin" conclude l'opera sembra infine intravvedere il ritorno a una vita primordiale e puramente istintiva, senza però raggiungerla. Un finale aperto per un'opera magistrale.
31/12/2014