Fuoriuscito il pilastro Kim Deal, probabilmente in disaccordo col fatto di trasformare una reunion in un'inutile seconda vita artistica, i rimanenti Frank Black, Joey Santiago e David Lovering brancolano disorientati tra heavy metal ("What Goes Boom"), hip-hop ("Bagboy"), ballad ("Ring The Bell", "Andro Queen", l'U2-esca "Blue-Eyed Hexe"), e tutta l'ovvia serie di autoimitazioni, da "Greens And Blues", forse la meno peggio, a "Jaime Bravo".
Pubblicato a puntate, agglomerato di tre Ep usciti tra 2013 e 2014, partendo da "Ep-1", prodotto in proprio come un'altra rentrée di lusso, "mbv" dei My Bloody Valentine, è il loro primo disco lungo dai tempi di "Trompe Le Monde" (1991), ma gli intransigenti direbbero che è il vero seguito di "Bossanova" (1990). Fatto sta, in ogni caso, che anche i dischi minori della mitica band bostoniana sono capolavori se confrontati a questa sfacciata e sofisticata speculazione. Viene il sospetto, come in "Re per una notte" di Scorsese, che i membri originari siano stati sostituiti da dei mitomani; due sono acclarati: il basso del turnista Dingo Archer e i cori di Jeremy Dubs.
(08/07/2014)