Richard Dawson

Nothing Important

2014 (Weird World)
cantautorato, free-folk

Richard Dawson ha bisogno di poco per raccontare al mondo le proprie emozioni. In “Nothing Important”, il cantautore inglese si accompagna con la sua fida chitarra acustica, ruvida e sgraziata, sempre sull’orlo di spezzarsi, sbilenca ma sempre sincera. Una chitarra che, più che suonare, urla e aggredisce le nostre orecchie, amplificata fino a rasentare la distorsione nella convulsa “Judas Iscariot”, opener che non si lascia intimorire dalle scordature e dal puntillismo degli armonici, anzi si abbandona a una sequela esagitata di schegge, spasimi corrosivi, inciampi atonali e oasi riflessive che non disdegna di strizzare l’occhiolino anche alla magica congrega di sodali del Capitano Cuordibue.

Superando le ultime resistenze del formato-canzone, “Nothing Important” ci consegna un musicista finalmente libero di spaziare con voce e corde dentro flussi di coscienza in cui la musica si sviluppa come necessaria controparte sonora delle immagini che le parole vanno, verso dopo verso, costruendo. Laddove il timbro della sua chitarra evoca sia quello di Derek Bailey che quello di Jandek, la voce insiste nel solco umorale e disarmonico di Kevin Coyne, producendosi in tutta una serie di sberleffi, urla, ghigni beffardi, carezze affilate, affondi rabbiosi e quant’altro.
Al centro dell’opera, c’è il tema della memoria, che in “The Vile Stuff” (il momento più riuscito dell’opera) si traduce in una serie di immagini che evocano i tempi dell’adolescenza, quando alcol e delusioni andavano a braccetto, facendosi le coccole. Il brano, uno stomp in cui fanno capolino arabeschi raga, ombre misteriose e progressioni solenni, cresce progressivamente di intensità, guadagnando quasi un’imponenza regale, fino al picco cacofonico del finale dove la musica diventa così densa da sfiorare la vertigine dronica.

La title track, invece, è uno strumentale meditabondo, che segue una linea melodica sghemba, fatta di pezzi di cuore gettati oltre l’ostacolo e di improvvise pugnalate di follia. Meno incisivo, a tratti quasi smarrito tra mille possibili sentieri da seguire e inseguire (un po’ come era accaduto in “Judas Iscariot), il brano è comunque un altro coraggioso esempio di sintesi tra improvvisazione e composizione, cucite dagli artigli laceranti di un dolore tanto più intenso perché mai veramente scoperto, dunque quasi enigmatico nelle trame riflessive di “Doubting Thomas”.

21/01/2015

Tracklist

  1. Judas
  2. Nothing Important
  3. The Vile Stuff
  4. Thomas

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