Negli ultimi quattro anni Mariam Wallentin e Andreas Werliin hanno un po’ girato in lungo e in largo alla ricerca di nuovi stimoli, nuovi sfoghi individuali che potessero fornire ulteriore linfa alla creatura Wildbirds & Peacedrums. Il buon Andreas non poteva che dirigersi verso territori più avanguardistici, più precisamente come percussionista dell’eccellente “Exit!” del collettivo free-jazz norvegese Fire! Orchestra. Al contrario, Mariam ha ben pensato di dar vita a un progetto solista, Mariam The Believer, dopo essersi trasferita con l’amato consorte per un po’ di tempo nella Grande Mela con l’intento di riordinare le idee e di assottigliare le proprie inclinazioni “pop”. Mescolate dunque le singole esperienze, i due sono tornati nuovamente in studio per mettere in piedi il quarto disco a nome Wildbirds & Peacedrums.
Il titolo del disco, “Rhythm”, esplica in toto ciò che è racchiuso musicalmente al suo interno. Se con “Rivers” i due avevano dato precedenza agli impulsi accademici di stampo ovviamente classico, chiamando a sé il coro della Schola Cantorum di Reykjavík, qui la materia è decisamente più grezza, mentre il battito assume una centralità assoluta. Via quindi ampliamenti strumentali e vocali. Subentra giusto qualche linea di basso qua e là a dar man forte al binomio imperante voce-percussione. Si torna alle origini, ma con una nuova coscienza, e un’irrequietezza dello spirito che esplode puntuale in ogni traccia attraverso un tambureggiare mai domo.
Ad aprire le danze è il mantra esotico di “Ghosts & Pains”. Mariam scalda l’ugola disseminando irriverenza con piglio del tutto blues. Mentre nella successiva “The Offbeat”, la corde vocali vengono elettrificate e opportunamente sdoppiate, con Andreas intento nel tenere a bada la sezione ritmica attraverso le consuete frattaglie di circostanza. Più calda e pacata appare invece “Gold Digger”, nonostante evidenzi nei tumulti in coda l’umore nero caratterizzante l’album.
“Mind Blues” è al contrario una danza sincopata, con i due che sembrano quasi rincorrersi tra coretti e improvvisi artifizi ritmici. Difatti, in tutto il disco domina incontrastata un’energica propensione al dominio duro e puro. E’ come se i due amanti avessero deciso di scaricare mediante i singoli ruoli strumentali le proprie inquietudini, in un amplesso sonoro che non lascia tregua e che toglie più di una volta il respiro.
Pur non rinvigorendo di fatto le caratteristiche peculiari evidenziate appieno già nei primi due lavori, “Rhythm” ci consegna una coppia in forma smagliante, vedi il possente crescendo di “The Unreal Vs. The Real” o l’irresistibile singolo di lancio “Keep Some Hope”, avvolgente e ritmicamente ipnotico. Menzione a parte merita la conclusiva “Everything All The Time”, posta su territori più sperimentali e cacofonici, con Wallentin in modalità accelerata e la Werliin in preda a un vero e proprio delirio interiore. Cambi di ritmo improvvisi e alzate di tono ne rimarcano semplicemente la totale inafferrabilità stilistica.
“Rhythm” scaccia in definitiva qualsiasi eventuale dubbio sulla lungimiranza artistica del duo svedese, ponendolo di fatto e ancora una volta tra le più apprezzate e singolari realtà del firmamento musicale scandinavo.
01/11/2014