“Perché non facciamo un album di musica disco?”. Stevie Jackson l’aveva detto quasi per scherzo. Ma, a quanto pare, i Belle And Sebastian l’hanno preso subito sul serio: “Era nell’aria, penso che lo sentissimo tutti”, confessa il chitarrista del collettivo scozzese. Dopo la svolta pop, insomma, tocca alla svolta electro? Una semplificazione, forse, ma non troppo distante dalla realtà.
Come era stato per “The Life Pursuit” nel 2006, anche in “Girls In Peacetime Want To Dance” i Belle And Sebastian puntano sull’effetto sorpresa: avventurandosi in quello che Bob Stanley dei Saint Etienne (chiamato significativamente a presentare il disco) definisce senza mezzi termini “un audace passo sul dancefloor, destinato a far sollevare a qualcuno le sopracciglia”. Tutti avvisati, insomma: Stuart Murdoch e soci, stavolta, hanno voglia di organizzare una festa da ballo nella loro cameretta.
Fin dai lustrini anni Ottanta di “The Party Line”, il primo singolo estratto dall’album, i Belle And Sebastian mostrano di sentirsi perfettamente a proprio agio anche in una veste apparentemente così distante dalla fragilità degli esordi. Dal martellante beat europop di “Enter Sylvia Plath” al synth-pop agrodolce di “Play For Today” (in duetto con Dee Dee Penny delle Dum Dum Girls), sono proprio i brani che scelgono di allontanarsi senza troppe remore dai canoni del gruppo a suonare più convinti: l’abito confezionato ad Atlanta dal produttore Ben H. Allen (già artefice del suono di gruppi come gli Animal Collective) è smagliante e spavaldo, la voce di Murdoch lo asseconda con un tratto più maturo.
Quando sfumano i colori delle luci stroboscopiche, però, “Girls In Peacetime Want To Dance” si rivela molto più incerto sulla direzione da prendere. Stevie Jackson mette in pista una girandola funkeggiante (“Perfect Couples”), Sarah Martin si presta ora a riff gaglioffi (“The Book Of You”), ora a tastiere acidule (“The Power Of Three”), Murdoch strizza l’occhio alla nostalgia dei fan della prima ora con il classicismo di “Ever Had A Little Faith?”. Ma, un po’ come nel precedente “Write About Love”, è la stoffa delle canzoni ad essere di carta velina, e non basta la colata di archi di “The Cat With The Cream” per rinverdire il curriculum folk del gruppo.
Sul crescendo dell’iniziale “Nobody’s Empire”, i versi si fanno più autobiografici che mai per Murdoch, che mette a nudo per la prima volta la fatica della sua lotta con l’encefalomielite mialgica, la malattia che l’ha colpito quando era ancora ragazzo. È lo spunto per provare a tirare le somme della strada percorsa e di quella ancora da affrontare, per accorgersi della “rivoluzione tranquilla” del fare famiglia e della possibilità di affrontare la vita lasciandosi alle spalle anche le visioni più dolorose.
“Penso che siamo diventati più consapevoli del mondo circostante”, riflette il leader dei Belle And Sebastian. “Quando sei più vecchio cominci a guardarti intorno”. E cominci a capire che spesso le cose sono meno complicate di quanto credi. A volte non occorre altro che la semplicità della ricetta di “The Everlasting Muse”: “Be popular, play pop, and you will win my love”. Ogni riferimento a gruppi realmente esistenti è puramente casuale.19/01/2015