Recensire un disco che ruota nell'orbita del pianeta
Jack White significa sempre misurarsi con il curriculum di uno che ha saputo tracciare efficacemente una strada in bilico tra il lessico viscerale del rock e il suono luccicante delle produzioni mainstream. Per quanto noto, il fatto non può mai essere sottovalutato, perché costituisce la chiave di lettura e il marchio di fabbrica di tutti i progetti del talentuoso giovanotto di Detroit.
Non fanno eccezione quindi i Dead Weather, che arrivano al terzo album dopo un lungo distillato di sessioni in studio di registrazione la cui tempistica è stata largamente condizionata dagli impegni dei vari membri del supergruppo (dall'uscita di "Sea Of Cowards", White ha pubblicato ben
due dischi solisti, mentre Alison Mosshart e Dean Fertita sono stati impegnati con disco e tour mondiale rispettivamente di
The Kills e
Queens Of The Stone Age).
"Dodge And Burn" si presenta da subito come un prodotto stilisticamente in linea coi precedenti e con una differenza a livello di intenzioni, che appaiono orientate a una maggiore immediatezza.
La tripletta iniziale "I Feel Love (Every Million Miles)"-"Buzzkill(er)-"Let Me Through" non lascia dubbi in questo senso: strumenti come di consueto imbevuti di attitudine isterica, ma fatti viaggiare su binari atti a contenerne la dispersione.
Il taglio più asciutto si nota anche nell'episodio che concede di più al passato, la successiva "Three Dollar Hat", dove una struttura dalle variazioni quasi
prog diventa il palcoscenico per nervose linee di cantato che però non danno mai la sensazione di perdere veramente il controllo.
Viene naturale pensare che, proprio in virtù della lunga gestazione, le canzoni abbiano avuto più tempo per essere elaborate (quasi tutte hanno sezioni strofa/ritornello chiaramente identificabili) e White abbia voluto affrontare diversamente l'aspetto produttivo.
In poche parole, meno incursioni in territori psych-blues e più rock'n'roll, lasciando a casa parte di quell'impianto sixties che ha sempre rappresentato una delle anime del gruppo. Sull'altro piatto della bilancia, maggiore compattezza e radiofonicità.
I Dead Weather sono la band nella quale White suona principalmente la batteria, eppure la sua personalità aleggia ovunque. Per quanto convincente, spesso tutto sembra tarato sul suo stile, e forse è davvero così.
Risalta come di consueto la prova vocale della Mosshart, che si conferma sempre più a suo agio nel dare spessore interpretativo alle robuste sequenze di riff taglienti ("Open up", "Mile Markers", "Too Bad"), trovando anche una dimensione inaspettatamente romantica (e pericolosamente riuscita) nella conclusiva "Impossible Winner".
Un passo indietro o un passo avanti? Con buona approssimazione, un passo di lato. Di certo White e compari non hanno mai fatto dell'innovazione la loro bandiera, e di certo la loro capacità di rielaborare un magma di sonorità così iconiche in ambito rock li rende in grado di arrivare quasi sempre a un risultato interessante, persino quando sono in cerca di immediatezza.
È lecito pretendere qualcosa di più da artisti simili? Sì, ma nel frattempo può essere un bene godersi la passione che esce da questi solchi.
29/09/2015