Iosonouncane

Die

2015 (Trovarobato)
songwriter, prog-rock

Iosonouncane incomincia all’indomani di “Mano ai Pulsanti”, unico e postumo album dei sardi Adharma, di fatto la prima opera solista del tastierista, multistrumentista e cantante Jacopo Incani, o comunque un suo preludio che già ne mostra la personalità.

Quando vara a tutti gli effetti il suo personale progetto, con l’Ep omonimo “Iosonouncane” (2010), Incani stupisce per gli sfregi iconoclasti delle canzonette retrò, tutto a base di loop e campionamenti (“Il famoso goal di mano”), pastiche danzanti creati sui puri versi vocali cacofonici, marcette Residents-iane e invettive strepitate caotiche (“Grandi magazzini pianura”), ballate un po’ robotiche e un po’ clownesche (“Summer On A Spiaggia Affollata”, ben più di una answer-song alla “Solitary Beach” di Battiato), persino ritmi rotolanti che pigliano ispirazione da Jon Hassell (“Torino pausa pranzo”), e pure brani lunghi (i 10 minuti di “La macarena su Roma”, pur più autoreferenziali, sorta di remix afro-samba di un flusso alla Lucio Dalla, attorniato di campioni parlati).

Il primo disco lungo, l’acclamato “La macarena su Roma” (2010), invero aggiunge poco (su tutto il caos di percussioni che inquina la ninnananna di “Giugno” e lo shuffle lento e trillante di voci deformate di “Il ciccione”), oltre a versioni ridotte e addomesticate delle “canzoni” dell’Ep.
Il singolo “Le sirene di Luglio” (2012) è un’altra creazione delle sue, un remix drum’n’bass caotico di una ballata sentimentale, spappolato da venti elettronici e tempi impossibili.

Tutto ciò sembra convergere verso la sua opera maggiore, “Die”. I suoi momenti clou, “Tanca” e “Buio”, oltrepassano le già poche oleografie del suo passato prossimo (Dan Deacon e Panda Bear) e approdano alla composizione originale tout-court, a meditazioni elettro-orchestrali a un tempo sognanti e irretite.
Gli 8 minuti di “Tanca” sono di un’asfissiante densità. Una pulsazione electro-folk, aumentata di lamenti aborigeni, è in realtà l’inizio di un crescendo di trambusti esoterici; il canto impossibile, il tempo sottilmente irregolare, le tastiere fantasma hanno qualcosa del periodo psichedelico di Tim Buckley.

Anche l’inizio di “Buio” è spettacolare: un’ipnosi in tempo ternario cullante in una continua, Mike Oldfield-iana trasformazione di stato, entità, tono e colore. Quando entra il canto, tutto si riordina in un lento da balera in versione surreale, pur ancora imbevuto di tastiere progressive e cori di sirene, con un finale di tremula trasfigurazione strumentale.
Il resto dell’opera non prova nemmeno ad avvicinarsi a questi due piccoli monumenti del rock totale italiano. La più breve “Mandria”, sorta di reprise di “Tanca”, chiude il cerchio con una danza propiziatoria più vicina ai rave, e “Carne” sembra voler superare in esosità di arrangiamento il più esoso Lucio Battisti.

Concept marino sulle distanze e le lacerazioni che ne conseguono. Diseguale ma compatto nelle intenzioni, è forse l’unico disco di un cantautore italiano che sovrappone la sciatteria della canzonetta silly al sublime dell’avanguardia. Ci sono entrambe nella nostra storia musicale: qui trovano un punto di fuga prospettico che, però, non è ingabbiamento. Come un mare prima della tempesta, si esprime con una calma apparente e poi via via con un’orchestrazione che sciaborda. Co-arrangiato e co-prodotto con Bruno Germano, con un tocco etnico da parte di Antonio Firinu e Paolo Angeli (oltre a Mariano Congia e Serena Locci), un tocco elettronico da parte dell’esordiente Dario “Alek Hidell” Licciardi e un tocco post-rock di due Junkfood (Simone Cavina e Paolo Raineri).

15/04/2015

Tracklist

  1. Tanca
  2. Stormi
  3. Buio
  4. Carne
  5. Paesaggio
  6. Mandria

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