“Myth Of Building Bridges”, brano d’apertura, è sostanzialmente una ouverture d'impronta classica, ma è infilzata da tutta una serie di tumulti harsh-noise, di squarci sci-fi, di progressioni cinematiche, urti Ebm e vocalizzi deformi. La contesa tra mesto distacco e lucido martirio è alla base di un disco che assomiglia a una seduta psicoanalitica, ma è la seduta di un uomo che ha introiettato a dovere la sensazione di spaesamento, la sensazione di un’inquietudine che spinge a ricercare continuamente una patria che è molto più di un semplice territorio delimitato da confini.
Quando, dunque, lo scarto tra desiderio e realtà diventa assoluto, allora il corrispettivo sonoro non può essere che quello di orrori psichici che, se in “Falling Mask” richiamano alla memoria le torture degli Swans e se in “A Sorrow With A Braid” e nelle due parti della title track fanno pensare ai primi Throbbing Gristle, in “Traditional Snowfall” e “Poinsettia Pills” trasformano la techno in un ottuso meccanismo, mentre, infine, in “Cocaine Daughter” declinano cupissime elegie alla luce di una fiammella morente.
Altrove, confrontandosi con la perdita della madre e lasciandosi tentare dall’idea del suicidio, Fernow affida alle liriche, più che alla musica, le sue sensazioni più intime: “The East River isn't romantic anymore you know/ That's where the suicides go/ Or maybe that's what you want in the end/ To be mixed together and reunited with your mother". Ma proprio perché al fondo del dolore sovente si riesce a rintracciare spiragli di luce, il disco non riesce a fare a meno di magniloquenze sinfoniche che odorano di superomismo (come quella di “Jester In Agony”, che fa leva su muraglie di synth e qualche tonfo percussivo) o di ballate acustiche che rintracciano nel sacrificio e nell’agonia gli unici sentieri per la salvezza, addirittura evocando l’immagine di Cristo: “Down snowy streets/ Among the broken glass/ You can find Christ/ Feeding the poor” ("Christ Among The Broken Glass").
(09/07/2015)