Uno stile chitarristico inquieto e virtuosistico, da “Astral Weeks”; una scrittura meditabonda e segnata liricamente dall’esperienza, che ricorda Nick Drake: ci sono tutti gli ingredienti per fare di Ryley Walker il nuovo nome del cantautorato “classicista” americano e non solo.
“Primrose Green” segue a brevissimo giro l’esordio su Lp “All Kinds Of You”, uscito solo l’anno scorso, e in effetti ne rappresenta un’ideale prosecuzione, una nuova espressione tirata a lucido e arricchita di dettagli di produzione e di architetture sonore che prendono dai migliori nomi della scena di Chicago, da cui Walker proviene, e oltre.
Steve Gunn, William Tyler, Hiss Golden Messenger e più remotamente Jonathan Wilson sono i nomi affissi all’arena in cui si cimenta Ryley, in un disco dal forte intento paesaggistico, che si sviluppa su jam che vanno via via stratificandosi, spesso giostrate su un giro armonico nervosamente volitivo (“On The Banks Of The Old Kishwaukee”).
La stessa voce di Walker sembra interloquire con gli strumenti come se fosse essa stessa uno strumento come gli altri (“Summer Dress”), inserendosi con brevi accessi nelle trame ossessive e jazzate dei brani. L’aspetto cantautorale del disco è infatti decisamente in secondo piano, come testimonia anche il brano più Drake-iano, con tanto di archi alla “Five Leaves Left”, di “The High Road”.
E il risultato finale è così forse un gradino sotto quello che potenzialmente potrebbe esprimere Walker, che ha per il resto sicuramente delle giuste ambizioni di diventare nuovo bardo dell’Americana contemporanea – più che altro per il carattere fin troppo impulsivo del disco, sempre ineccepibile dal punto di vista tecnico e “organolettico” (tutti brani incredibilmente suggestivi e dalla scrittura mai banale, per intenderci), ma mai veramente emozionante e profondo.
18/03/2015