Eravamo rimasti all'ovvia conclusione che il mondo del pop mainstream è un tritacarne, e che una volta passata la china risalire è quasi impossibile. Britney Spears è stata il "poster" per antonomasia degli anni 00, una voce di gomma adattata con enorme successo alle maggiori mode del periodo. Ma oggi, nell'era di Beyoncé e Rihanna, una personalità così smaccatamente pilotata come la sua viene già considerata al pari di un rottame, soprattutto dopo la pubblicazione del mediocre "Britney Jean" e il ritiro a fare la valletta a Las Vegas. Mettiamo poi l'arrivo dell'orrido singolo di lancio "Make Me..." qualche mese fa, e la lapide era sostanzialmente pronta. Il tutto, a soli trentaquattro anni d'età.
Invece stavolta Britney c'ha preso in giro, perché se "Make Me..." rimane uno dei suoi singoli peggiori in assoluto, il resto di "Glory" è stato messo in piedi con un team di tutto rispetto e il risultato ottenuto va ben oltre le (ridimensionate) aspettative. Non sarà certo una visione della Madonna, dal momento che "Glory" è ancora una volta un prodotto pop creato senza scopo alcuno se non l'intrattenimento casuale, ma la Spears oggi sembra nuovamente intenzionata a fare la popstar e a riconquistare quella che è sempre stata la sua peculiarità: adattarsi a nuove sonorità tramite la sua fragile ma elastica presenza di donna-robot-ma-con-un-cuore. Tutto questo ovviamente dirà meno di zero ai suoi eterni detrattori, ma per i vecchi fan, che con lei sono cresciuti attraverso anni di drammi & successi, vederla a suo modo nuovamente viva è un piccolo tuffo al cuore.
Se un tempo il suo marchio di fabbrica erano le pesanti alterazioni di vocoder che la facevano stridere come un Minion, oggi basta l'applicazione di qualche filtro per far cangiare la voce da pezzo a pezzo senza snaturarla eccessivamente. Ascoltare l'introduttiva "Invitation", infatti, mostra subito qualcosa d'inedito: una bellissima cavalcata electro densa d'atmosfera e cori ovattati. Forse è proprio vero allora, quando Britney è sola in studio e il mondo non la guarda, ha ancora passione per quello che fa.
Pezzi di buona fattura pop, come "Man On The Moon" e "Just Like Me", si affiancano ad altri che suonano decisamente stupidini ma sono condotti con la giusta ironia, tipo "Private Show" e "Hard To Forget Ya", mentre per un singolo senz'anima come il sopracitato arriva a fare da controparte il tiratissimo momento di "Do You Wanna Come Over?" (una delle sue canzoni migliori da anni a questa parte). E per rimanere nel 2016, non mancano né gli accenni tropical-house ("Just Luv Me") né i momenti urban-reggae che seguono la scia dei successi di Major Lazer o la Gwen Stefani più cazzona ("Love Me Down" e "Slumber Party").
Britney si trova a suo agio, insomma, al punto che fanno specie soprattutto i pezzi dove la voce è lasciata quasi al naturale; la divertente "Clumsy" si arrampica su stacchetti vintage anni 20 e sbavature elettroniche di contorno, mentre su "What You Need" la si sente addirittura spolverare - con voce grossa - un'atmosfera da blues tipica della sua Louisiana. Ciliegina sulla torta anche le bonus della versione deluxe, con una "Coupure Electrique" cantata in francese a chiudere il tutto con una risatina divertita.
Inutile girarci attorno, Britney non sarà più la trascinante sirena dei tempi di "I'm A Slave 4 U", e la sua recentissima esibizione ai VMA 2016 ha riportato agli occhi del mondo l'immagine di una donna che continua a muoversi sul palco col fare di un macchinario poco oliato (nonostante sia indubbiamente tornata in smagliante forma fisica). Con questi scarsi presupposti, dunque, conquistare del nuovo pubblico è fuori questione, la Principessa del Pop è stata declassata a Duchessa, ma non c'è bisogno di farne un dramma, visto che "Glory" è il suo disco meglio assemblato da anni a questa parte. Vuota, pilotata, sempliciotta di periferia, mamma da hambuger & coca cola, la stampa continua a dirgliene di tutti i colori, ma a noi non importa perché le vogliamo bene lo stesso. Dopotutto, it's Britney, bitch.
01/09/2016