Di Los Angeles, la piccola crew sperimentale dei clipping (il rapper Daveed Diggs e il combo di produttori-sound designer William Hutson e Jon Snipes) dà alle stampe l’opera che ancora si attendeva, data l’enorme ambizione dimostrata col debutto “CLPPNG” (2014), attraverso l’ampio concept “Splendor & Misery”.
Montaggi violenti, musique concrete e rumore ne sono le componenti precipue, tanto che “The Breach” e la soundscape subliminale al ralenti della più lunga “All Black” suonano come flow fluttuanti in un cosmo Kandinsky-iano. La voce è svuotata, piatta, ma inesorabile. Pian piano il beat prende forma, ma è un flipper digitale in un’impalpabile, e quasi comica, fusione con un fondale funebre. Il maggior contrasto il trio lo ottiene quando recupera una base ritmica convenzionale in “True Believer”: le sincopi si accentuano, evocano una sempre maggiore apprensione, s’infarciscono di dissonanze elettroniche alla Public Enemy.
Così nel gorgo soul-pop di “Air ‘Em Out”, piccolo coagulo di eventi altamente discordanti: una concessione pseudo-melodica, comunque subito polverizzata dalle sospensioni di “Break The Glass”, da far ingelosire i Death Grips. Gli interludi sono spesso dub satanici che sotterrano senza pietà il rap (“Interlude 01”). Vertice post-industriale è la danza d’invocazioni e formule magiche di “Wake Up”. “Baby Don’t Sleep”, uno dei pezzi meno musicali del genere, motto per scosse sismiche e scariche radioattive, va anche oltre. Lo spassoso finale finto-liberatorio (“A Better Place”), si nutre d’organo triturato e colpi techno, e un flow rifratto.
Irregolare, scomposto nella struttura, visto a distanza è poco più che una maratona di stridori che spazza la mente. E’ un nuovo paradigma di opera hip-hop che convince ed esalta per la conoscenza a menadito degli stilemi black-music, anche storici (sentire l’impeccabile spiritual a cappella di “Story 5”), e specialmente per come li tritura e liofilizza in una pasta abrasiva. Dal massimalismo dei Dalek e dal dadaismo dei Clouddead si passa a un essenzialismo hip-hop antispettacolare, sporco e acido. Ha un sottotesto di fantascienza un po’ macchietta, la parte invero meno necessaria: serve, in associazione al corredo sonico, a tirare fuori una visione composita del genere umano, una fascinazione per il destino e le regole dell’esistenza.
19/12/2016