clipping.

Splendor & Misery

2016 (Sub Pop)
avant-rap
7.5

Di Los Angeles, la piccola crew sperimentale dei clipping (il rapper Daveed Diggs e il combo di produttori-sound designer William Hutson e Jon Snipes) dà alle stampe l’opera che ancora si attendeva, data l’enorme ambizione dimostrata col debutto “CLPPNG” (2014), attraverso l’ampio concept “Splendor & Misery”.

Montaggi violenti, musique concrete e rumore ne sono le componenti precipue, tanto che “The Breach” e la soundscape subliminale al ralenti della più lunga “All Black” suonano come flow fluttuanti in un cosmo Kandinsky-iano. La voce è svuotata, piatta, ma inesorabile. Pian piano il beat prende forma, ma è un flipper digitale in un’impalpabile, e quasi comica, fusione con un fondale funebre. Il maggior contrasto il trio lo ottiene quando recupera una base ritmica convenzionale in “True Believer”: le sincopi si accentuano, evocano una sempre maggiore apprensione, s’infarciscono di dissonanze elettroniche alla Public Enemy.

Così nel gorgo soul-pop di “Air ‘Em Out”, piccolo coagulo di eventi altamente discordanti: una concessione pseudo-melodica, comunque subito polverizzata dalle sospensioni di “Break The Glass”, da far ingelosire i Death Grips. Gli interludi sono spesso dub satanici che sotterrano senza pietà il rap (“Interlude 01”). Vertice post-industriale è la danza d’invocazioni e formule magiche di “Wake Up”. “Baby Don’t Sleep”, uno dei pezzi meno musicali del genere, motto per scosse sismiche e scariche radioattive, va anche oltre. Lo spassoso finale finto-liberatorio (“A Better Place”), si nutre d’organo triturato e colpi techno, e un flow rifratto.

Irregolare, scomposto nella struttura, visto a distanza è poco più che una maratona di stridori che spazza la mente. E’ un nuovo paradigma di opera hip-hop che convince ed esalta per la conoscenza a menadito degli stilemi black-music, anche storici (sentire l’impeccabile spiritual a cappella di “Story 5”), e specialmente per come li tritura e liofilizza in una pasta abrasiva. Dal massimalismo dei Dalek e dal dadaismo dei Clouddead si passa a un essenzialismo hip-hop antispettacolare, sporco e acido. Ha un sottotesto di fantascienza un po’ macchietta, la parte invero meno necessaria: serve, in associazione al corredo sonico, a tirare fuori una visione composita del genere umano, una fascinazione per il destino e le regole dell’esistenza.

19/12/2016

Tracklist

  1. Long Way Away (Intro)
  2. The Breach
  3. All Black
  4. Interlude 01 (Freestyle)
  5. Wake Up
  6. Long Way Away
  7. Interlude 02 (Freestyle)
  8. True Believer
  9. Long Way Away (Instrumental)
  10. Air ‘Em Out
  11. Interlude 03 (Freestyle)
  12. Break The Glass
  13. Story 5
  14. Baby Don’t Sleep
  15. A Better Place

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