In pochi, forse nemmeno i contiani di ferro, sapevano della carriera parallela di Paolo Conte improntata alle musiche d'accompagnamento. "Amazing Game - Instrumental Music" raccoglie appunto pezzi strumentali di varia natura (quasi tutti su commissione, da pièce teatrali a progetti dedicati a Montale e Corto Maltese) che risalgono fin dalla fine dei 90. Nessun concept e nessun disegno di fondo, per ammissione dello stesso Conte, soltanto un'antologia da pubblicare tra un album di canzoni e l'altro. Il disco (lungo, ben ventitré tracce) risponde però a una domanda: cosa ne è del talento del bardo astigiano quando può vagare libero dai suoi mitici versi e darsi all'orchestrazione tout court?
Diversi brani vi rispondono con un tipico basso profilo distaccato, passeggiando come un equilibrista su un'impervia corda tesa tra mondi e generi, pur sempre con quella sua poetica aria distratta. "Pomeriggio zenzero" è un tema alla Nino Rota in tempo di mazurka scandita dalla storica fisarmonica di Stradella (una formula in parte replicata anche da "Zama"). "F.F.F.F.", per piano, clarino, contrabbasso e batteria, l'unico approccio della sua carriera alla dissonanza da camera e la composizione free-form quasi atonale, cita Francis Poulenc ed è un altro dei suoi manifesti programmatici, senza parole, una delle più totalizzanti dichiarazioni d'amore per le avanguardie primo-novecentesche.
L'opera poi si perde in graziosi motivetti cool che sono poco più che bozzetti per sue canzoni mai sbocciate: "En Bleu Marine", "Passa una bionda sugli anni grigi", la Bill Evans-iana "Amazing Game", "Novelty Step", "Rumbomania", per non parlare degli echi di "Paris Milonga" (1981) in una "Tips" che fa sentire per qualche istante anche i suoi proverbiali versi onomatopeici (sembra abbozzare "Via con me") e in uno standard swing per coro femminile, "Changes All In Your Arms", che si riallaccia a "Pretend Pretend Pretend".
Ma le fanfare di legni di "Serenata rustica" e specialmente "Song In D Flat", oltre al palpito di tromboni di "À La Provençale" (purtroppo, tutte brevi o brevissime), fanno sbocciare melodie accorate poco distanti dai compositori romantici. A parte il valzer da belle epoque per soli archi "La Danse", tutto si approfondisce in innodie, "Sirat Al Bunduqiyyah" e "Zinia", che trovano un accesso di dolore nella viola echeggiata dal vibrafono in "Largo sonata per O.R.". "Fuga nell'Amazzonia in re minore" è un altro pezzo discretamente innovativo, pur nella sua dimensione ostentatamente minore, un "fugato" a modo suo, un dialogo per piano e bandoneon con sbalzi armonici e dinamici.
Precedenti: qualche strumentale nei suoi album classici, ovviamente i suoi arrangiamenti più ampi e variopinti, un recupero giovanile d'archivio come "Plays Jazz" (2008) e soprattutto la sua dimenticata operetta per sincronie di dipinti e musica "Razmataz" (2000), di cui peraltro "Changes All In Your Arms" ne è scarto. Questo è forse l'album più coraggioso da quei tempi. Espunte le parole, gli amori per il jazz (poca improvvisazione, più scrittura e direzione artistica) e le danze sudamericane (tracce solo in "Mannequins Tango"), se ne apprezza la grafia appassionata, contrappuntistica, docile e talvolta anche carica d'una mestizia più profonda che altrove. Molto più occidentale, conferma e sviluppa la sua tarda passione per la musica classica che già s'intuiva - appannata - in "Snob" (2014). Una pecca: manca la quasi-ambient "La figlia di Isacco" (2009). Bella edizione cartonata, un libretto di quindici pagine con nuovi disegni di suo pugno.
19/10/2016