Va detto subito che il progetto ha avuto origine da Beam, che aveva già qualche canzone pensata negli anni appositamente per un disco come questo, per cui il canovaccio è più o meno tangibilmente riconoscibile come quello di un disco di Iron & Wine. Ma le sfumature in musica spesso sono tutto, per cui a volte anche brani marchiati I&W, come la melodia carezzevole di "Valley Clouds", prendono direzioni e spunti che forse non avrebbero preso, se non fossero passati tra le mani della Hoop.
Così emergono le sfumature pop della scrittura di quest'ultima, più vicina a Kate Bush e a Bjork che ai nomi più tradizionali del cantautorato femminile statunitense, come nelle suggestioni cameristiche di "We Two Are A Moon", o negli svolazzi amorosi di "Every Songbird Says". Più generale l'estetica della Hoop, la cui musica è stata appunto descritta da Tom Waits come "una nuotata in un lago di notte", influenza l'ambientazione generale del disco - una suggestione che dà profondità e carattere ai brani.
Da buon "super" album, i musicisti coinvolti sono da all star game, per citarne uno: Glenn Kotche alla batteria. Si attenua così, anche con qualche accorgimento negli arrangiamenti, più sobri e minimalisti che nelle ultime uscite I&W, la sensazione vagamente stucchevole che può lasciare l'ascolto prolungato delle canzoni di Beam.
Il pericolo era ancora maggiore con la scelta di un disco a due, ma il risultato è molto ben bilanciato tra numeri più classici, radiofonici ("One Way To Pray"), e intermezzi più spigolosi ("Midas Tongue", "Chalk It Up To Chi" è farina del sacco della Hoop), e uno stato di grazia generale che porta a pensare al disco come a uno degli apici artistici dell'anno in corso, nonostante l'inevitabile prurito manieristico di sottofondo.
(20/04/2016)