Come in ogni favola che si rispetti, però, il raggiungimento di un lieto fine non sarebbe possibile senza qualche imprevisto. Che si tratti di una ringhiosa bestia feroce o di inaspettate scosse di terremoto (gli strascichi del divorzio in "Sue Me" e una pirotecnica "Losss", i momenti più electro-vintage in scaletta), Björk sembra non farci caso e non perdere la flemma. Armata di ottimismo e del suo flauto continua indisturbata, forse giusto un po' titubante ("Claimstaker"), a fare "Tabula Rasa" dei demoni del passato e declamare l'agognata serenità sino alla placida chiusura con la voluttuosa "Saint" e la conciliante "Future Forever".
È davvero un peccato che per raggiungere l'obiettivo l'islandese smarrisca più di una volta il filo della melodia e si dilunghi un po' troppo ("Blissing Me" e "Body Memory") come spesso accaduto nelle sue ultime prove.
Ad accompagnarla nuovamente in questo lungo e onirico viaggio, un'altra creatura poco convenzionale come il venezuelano Arca (stavolta coinvolto sin dalla nascita del progetto), rispettoso come non mai delle trame björkiane e dei trascorsi della sua musa. Nutre per lei un'ammirazione talmente forte da calarsi senza problemi in un contesto meno cupo del suo solito ma pur sempre barocco e da non farle notare che forse la scenografia di questo abbacinante fantasy è più compiuta della sua sceneggiatura.
Una maggiore concisione avrebbe sicuramente evitato facili ma non campate per aria accuse di pretenziosità, ma è risaputo che quando i sensi sono ormai inebriati e l'euforia raggiunta, è facile perdere la cognizione del tempo che passa.
(21/11/2017)