La fonte d'ispirazione di "Mirage" potrebbe facilmente invalidare il mio ingenuo assunto, ma credo ci riesca solo in parte. Al suo quarto Lp per la Room40 di Lawrence English, il maestro nipponico dell'ambient Chihei Hatakeyama compone nove meditazioni sul rapporto tra musica e architettura: un esercizio che non mira tanto alla mìmesis formale quanto all'approfondimento degli aspetti fenomenologici della risonanza acustica, elemento che in via subliminale influenza fortemente la nostra percezione di uno spazio; una fascinazione che a suo tempo ha dato origine alla gloriosa polifonia rinascimentale e che giunge sino agli esperimenti di pionieri contemporanei quali Alvin Lucier e Pauline Oliveros.
Ma l'espressione di Hatakeyama non potrebbe mai limitarsi entro una forma lineare che indaghi gli elementi acustici puri e le loro variazioni microtonali, preferendo inseguire volute melodiche che si intrecciano a vicenda, ove al sorgere dell'una corrisponde il decadimento dell'altra - come le voci e i suoni che secondo la nostra percezione entrano ed escono naturalmente di scena. Le stesse voci che l'artista ha catturato in prima persona nel suo viaggio in Turchia, tra i bazar e nei luoghi di culto, qui ritornano per l'appunto come miraggi, segnali di vita dispersi nel tempo ma perpetuati nella quieta grandezza di questi maestosi paesaggi sonori.
Le eteree astrazioni che furono già di Harold Budd vengono ricontestualizzate in uno spazio sacro, dove un velo di luce delicata riveste il chiaroscuro della realtà: visto con gli occhi di Chihei Hatakeyama, il mondo torna a conciliarsi con l'imperfezione del genere umano che lo popola. Dedicarsi alla bellezza e alla serenità, interiori ed esteriori, non corrisponde necessariamente alla negazione del dolore, ma a una scelta di campo che rimarca l'esistenza di entrambe le polarità in virtù della loro reciproca opposizione.
(09/06/2017)