Per una strana coincidenza astrale, il 2017 vede nascere il diciassettesimo album di Humpty Dumpty, all'anagrafe Alessandro Calzavara, ancora “fieramente arroccato su posizioni di intransigente autoproduzione e autodistribuzione” come si presenta sulla sua pagina Bandcamp. Il cantautore messinese, recentemente alle prese con la nuova sfida della paternità, trova il tempo per aggiornare un curriculum che lo vede attivo dal lontano 2000, producendosi album in italiano e in inglese. Per il "difficile" diciassettesimo album, Humpty Dumpty sceglie di ritornare alla lingua madre, avvalendosi anche di una serie di amici che lo aiutano nella scrittura, disseminando così una vasta rete di citazioni letterarie e omaggi musicali più o meno nascosti. Ne esce un disco molto meno pop dei precedenti, in cui le chitarre si prendono la loro rivincita tessendo trame decisamente più intricate e misteriose, come si evince anche dalla copertina disegnata da Antonello Sechi.
Il disco si compone di quindici tracce, nessuna delle quali scende sotto i quattro minuti; il risultato, giocoforza, è un'opera lunga, che riesce tuttavia nell'ardua impresa di non annoiare mai il suo ascoltatore, tenendolo impegnato come faceva l'originale Humpty Dumpty della letteratura anglosassone: seduto sul suo muretto, egli ci invita a riflettere, cade, si rompe e infine si ricompone. Così facendo, Calzavara ci racconta di un mondo popolato da uomini "inetti ma con precisione/ adatti al sottovuoto/ intenti a cercare/ i vocaboli di un dizionario del nulla" ("La lunga coda") stando ben alla larga dai soliti clichè della musica indie nostrana e dai diti puntati verso i potenti. I protagonisti, nel bene e nel male, siamo noi stessi con tutti i nostri difetti. È questo il caso del suadente electro-pop di “Nastri”, con testo e la voce narrante di Stefano Solventi, dove ci viene ricordato come la sensibilità sia uno dei nostri più preziosi tesori (“siamo vulnerabili/ è il nostro difetto migliore”).
Il nuovo ruolo di padre, rispetto al resto della sua produzione solista, si rivela nei verso di "Carillon", un gamelan sotto le spoglie di una new wave à-la Diaframma. La compagna Giulia Merlino presta invece la sua penna per la crepuscolare "Ieri notte", una delle canzoni migliori del lotto con un incedere progressive e un'atmosfera da cinema noir. Se in “Oleandri” - con testo e spoken-word di Salvo Mineo (Calogero Incandela) - i ritmi si fanno persino post-punk, in “Lass Anderen Sein” Calzavara trasporta con passione in musica Paul Celan, sorprendendo poi l'ascoltatore nei versi in lingua tedesca sul finale che deviano la composizione in una baldoria in stile Neue Deutsche Welle.
Tra le partecipazioni va segnalata anche quella di Cateno Tempio (“Mr. Lazarus”) e Davide Donato ("La Lunga Coda”, "Eisoptrophobia") che regalano a Calzavara tre pezzi di indubbio spessore. Nel novero dei brani vale infine la pena menzionare anche lo strumentale shoegaze di “Il lavoro è la morte della bellezza – La bellezza è il lavoro della morte” e la superba "Indizi", perfetto esempio della versatilità del cantautorato colto di Humpty Dumpty, il quale - bisogna proprio ammettere - meriterebbe molta più fortuna nelle cronache musicali di questa nazione.
28/12/2017