Negli ultimi anni la musica folk è stata spesso al centro dell’attenzione dei protagonisti della scena indie, a cavallo di revival in chiave psichedelica, weird o gothic. Si è così rinnovata l’interazione tra l’underground e la cultura popolare. Al di là delle passioni fugaci e momentanee di molti giovani cantautori in cerca d’ispirazione, si è contemporaneamente sviluppata una generazione di archivisti del folk e del blues, musicisti attenti a uno studio sistematico delle radici.
Se l’inglese Davey Graham ha trovato in Sam Lee il suo degno successore, dall’altra parte del globo Jake Xerxes Fussell si è candidato a novello Alan Lomax della musica americana. Come nel caso del suo alter-ego bretone, anche per Jake Xerxes si tratta di una conquista sul campo, frutto di anni e anni di ricerca, prima insieme al padre Fred Fussell (grande ricercatore e archivista di folk insieme alla moglie Cathy), poi con degli studi approfonditi all’Università del Mississippi.
Etta Baker, Robert Wilkins, Precious Bryant, Steve Mann e George Daniel sono solo alcuni dei nomi importanti che il musicista ha incontrato nel suo cammino: esperienze fondamentali per la realizzazione dell’interessante esordio del 2015 prodotto da William Tyler.
Per il secondo album, “What In The Natural World”, Jake Xerxes ha messo su un vero e proprio collettivo di musicisti: Nathan Bowles, Nathan Salsburg, Nathan Golub, Joan Shelley e Casey Toll.
Alla maniera di Ry Cooder, il musicista americano rielabora e reinventa un interessante campionario di musica tradizionale, preservandone la natura molteplice e spesso antitetica.
La forza narrativa di Jake Xerxes Fussell è sorprendente: la musica scorre con la stessa energia di un disco dei Pogues o di Billy Bragg (“St. Brendan’s Isle”) e con lo stesso vigore poetico di Bob Dylan o Pete Seeger (“Canyoneers”).
Il musicista scava in profondità, catturando gli elementi poetici essenziali e rinnovandone il linguaggio lirico; esemplare è la rilettura in chiave jazz-blues con tanto di robusta sezione ritmica di “Bells Of Rhymney”: una poesia di Idris Davies che Pete Seeger e poi i Byrds resero famosa con toni più sobri e malinconici.
Musicista dotato e raffinato, Jake è anche un eccellente performer. La voce profonda e duttile rende giustizia alla complessa e ricca ballata “Have You Ever Seen Peaches Growing On A Sweet Potato Vine?”, un brano di Jimmy Lee Williams che Jake scuote con ritmi sincopati e accordi taglienti di chitarra, emulando il rinnovamento della tradizione di Steve Gunn e di Nathan Bowles. Anche “Lowe Bonnie” è graziata da una stupenda performance vocale, mentre il tono malinconico e sofferto gronda di sudore e polvere.
Album apparentemente ordinario, “What In The Natural World” è al contrario uno dei più brillanti lavori folk degli ultimi tempi. Jake Xerxes non solo è un abile chitarrista, ma il suo stile è avvolgente e ricco di swing, al punto da reinventare in chiave folk un brano di Duke Ellington (“Jump For Joy”) o nobilitare una suggestiva e misconosciuta ballata di Helen Cockram (“Pinnacle Mountain Super Mine”).
Ascoltare la musica di Fussell è un po’ come osservare dalle finestre di una metropoli un angolo dimenticato e nascosto, dove il tempo sembra essersi fermato.
Il cantato spesso è discorsivo, quasi come un racconto, la musica è a volte struggente, agrodolce (“Billy Button”), oppure sognante e malinconica (“Furniture Man”), ma l’elemento costante resta l’intrigo intellettuale che scaturisce da un vincente connubio tra passione e intuito. Ogni brano è un racconto, un pezzo di storia che il musicista ha assimilato e assorbito fino a farlo proprio per riproporlo con rinnovata energia.
Con “What In The Natural World”, Jake Xerxes Fussell riporta sotto i riflettori la tradizione popolare folk, esaltandone gli aspetti più aulici e ancestrali, rinnovandone la poetica e la forza innovatrice. Un inatteso regalo per i cultori del folk-blues e un interessante album propedeutico per tutti coloro che desiderano incominciare un’esplorazione più approfondita delle radici del rock.
11/04/2017