Miley Cyrus

Younger Now

2017 (RCA)
country-pop, pop-rock

Con Miley Cyrus le sfumature, di qualsiasi natura esse siano, semplicemente vanno a farsi benedire. Sin dai tempi dello stentato "Can't Be Tamed", che provava con insuccesso la carta della trasgressione e dell'emancipazione sessuale avviata poi con ben più ampia copertura e clamore col successivo "Bangerz", ogni nuovo tassello discografico dell'ex-principessina d'America si è corredato di cambi d'estetica e atteggiamento che hanno fatto parlare ben più dei voltafaccia musicali di cui si facevano portavoce, aumentando di volta in volta il profilo controverso di una delle popstar più chiacchierate dell'ultimo decennio. Non sorprende, quindi, come anche l'ultimo "Younger Now" sia stato accompagnato a suo modo da un notevole cicaleccio e dall'ennesimo circolo di critiche, per quanto stavolta molto più contenuto rispetto anche solo al passato più recente. Se però ai tempi il punto critico era la ribellione a buon mercato, l'improvvisa trasformazione da beniamina dei giovanissimi a ennesimo simbolo della decadenza dei costumi, col nuovo lavoro il discorso si fa totalmente opposto.

In un ritorno alle più spoglie matrici country che ne hanno contraddistinto l'infanzia, il quinto album in carriera di Cyrus (scritto da sola in compagnia di Oren Yoel) si è trovato sotto un fuoco incrociato, di chi da un lato ha intravisto nell'abbandono repentino delle sonorità urban come una sorta di associazione a una stagione della propria vita da dimenticare (inutile aprire qualsiasi discorso sulla questione "cultural appriopriation" e affini), e di chi avrebbe voluto invece dall'altro un ritorno più convinto alla leggerezza bubblegum degli inizi. Se è certo vero che l'ostentazione quasi virginale del video di "Malibu", tutta cascate, palloncini e make-up naturale, cozza non poco con un'immagine che nell'ultimo quadriennio ha fatto di tutto per tagliare ogni ponte con la rispettabilità e le attese del pubblico mainstream, nondimeno il traballante e pretenzioso comparto visivo funge nuovamente da contesto di preferenza per un'efficace riconversione sonora e di ispirazione, che riporta prepotentemente alla ribalta quel bagaglio americano di cui già lo slabbrato e affascinante "Miley And Her Dead Petz" aveva dato qualche avvisaglia. Ancora una volta, l'ascolto sa come riservare qualche sorpresa.

Non si pensi tuttavia che un album come "Younger Now" sia stato pubblicato per inseguire la piega intrapresa dagli ultimi progetti di Lady Gaga e Kesha. Se è vero che quest'ultima ha comunque ricevuto un notevole imprinting complice l'estrazione musicale della madre, con Miley Cyrus questo discorso giunge alle estreme conseguenze. Con Dolly Parton madrina di battesimo (qui reclutata per l'abborracciato esperimento "Rainbowland", esile e kitschissimo motivetto country-pop strutturato come un furbo duetto a distanza) e numerose apparizioni dal vivo dedite a rispolverare frammenti di un catalogo made in Usa semplicemente senza confini, certe nuance estetiche e di scrittura hanno sempre contraddistinto la sua musica, anche nei momenti apparentemente più distanti dal suo ricco retroterra di ascolti e ispirazioni. Un prodotto come il nuovo lavoro, al di là del tempismo (senz'altro cannato da ogni punto di vista, basti vedere i risultati racimolati dalle derive più calde e acustiche delle illustri colleghe), coglie insomma un lato creativo che non ha mai mancato di informare la fiammella di Cyrus: era più una questione di quando che di come, a ben vedere.

In effetti, i due singoli promozionali non hanno tardato nel far capire quanto country e Americana siano elementi costitutivi del Dna musicale della cantante. Dapprima "Malibu" ha evidenziato il carattere più brioso e romantico della sua penna roots, in un evidente tentativo di far dimenticare in fretta e furia i bagordi del passato, ma con una linearità nella scrittura che sublima ed esalta le levigate architetture chitarristiche dell'arrangiamento, promuovendosi immediatamente a una delle sue migliori prove pop. La title track, in un secondo momento, ha invece alzato notevolmente il tiro del sound, posizionando la sua autrice a ridosso di una china rock ben più matura rispetto alle stentate banalità dei tempi del successo disneyano (e che, di conseguenza, potrebbe schiuderle ulteriori porte da spalancare per il futuro).
Oltre alla funzione di apripista, la coppia di brani serve da limite stilistico entro cui lasciar muovere le restanti canzoni, l'Abc sonoro con cui plasmare la collezione. Una come Cyrus indubbiamente ha la voce e l'approccio giusto per cimentarsi nell'impresa, non mancando quindi di donare alcuni tra i suoi più intensi momenti interpretativi in assoluto: "Week Without You" è uno stomper brillante e dalle nuance sixties, in cui il canto della popstar intercetta una nostalgia e un calore raramente intravisti in una produzione comunque tutt'altro che statica negli intrecci emotivi. Allo stesso modo "She's Not Him" potenzia le sinuosità da balladeer già evidenziate in "Adore You" e alla lontana in "Lighter", con la forza di una classicità che però non si traduce in sterile sottomissione, rincorrendo piuttosto una modernizzazione in chiave pop di un'estetica dai tratti addirittura bluegrass.

È un peccato, insomma, che, al di là dei momenti degni di nota, per il resto il lavoro non faccia molto per smarcarsi da una competenza laccata e professionale, che però fa ben poco per avvincere o fornire qualche diversa chiave di lettura. Spiace come lo sforzo performativo non sia stato spesso corrisposto da una scrittura che ne colga pienamente tutte le potenzialità più o meno nascoste, appiattendole su un registro medio che spegne gran parte del brio messo in campo. Tra calligrafiche torch-song interscambiabili per quelle della nuova starlette country affamata di successo ("Miss You So Much"), piccoli affreschi di quotidianità che recano scritto "damage-control" sulla fronte (la conclusiva "Inspired", tutta delicatezze e candore folk), qualche sbilanciato tentativo di ispessire con un pizzico di elettricità meccanismi pop privi di mordente sostanziale ("Love Someone", sorretta comunque da un arrangiamento rock di notevole peso) emerge il profilo di un'autrice senz'altro sicura della scelta compiuta, ma incapace di fare veramente la differenza, in un panorama tutt'altro che poco rappresentato negli Stati Uniti contemporanei.

Per quanta freschezza e gioventù possa insomma decantare Miley Cyrus, la sensazione è quella di un processo di maturità voluto avviare troppo in fretta, con una penna che solo in qualche occasione ha saputo tenere testa alla decisione. Niente di sbagliato nell'aver voluto abbracciare questi suoni, si spera però che il percorso urban-psych avviato con i precedenti album non si riveli una parentesi con cui recidere i rapporti una volta per sempre.

01/11/2017

Tracklist

  1. Younger Now
  2. Malibu
  3. Rainbowland (ft. Dolly Parton)
  4. Week Without You
  5. Miss You So Much
  6. I Would Die For You
  7. Thinkin'
  8. Bad Mood
  9. Love Someone
  10. She's Not Him
  11. Inspired




Miley Cyrus sul web