Pura e deliziosa come il fior di latte la musica dei Phoenix lo è sempre stata. Forse lo è diventata ancora di più con il passaggio da "It's Never Been Like That" a "Wolfgang Amadeus Phoenix", quando le chitarre hanno lasciato il palcoscenico ai sintetizzatori. Che la band francese, poi, inserisca elementi provenienti da altre culture e da contesti estranei, anche questo è tutt'altro che insolito. Lo hanno fatto con l'Oriente in "Bankrupt!", con la musica classica nel già citato "Wolfgang Amadeus Phoenix" e ora lo fanno con l'Italia. Scarnificando il contenuto, in realtà, il risultato è rimasto immutato. La musica dei Phoenix è sempre stata la stessa, che citasse Mozart e Liszt o che mostrasse dei samurai nel videoclip del singolo di lancio.
"Ti Amo", per non tradire le aspettative, di italiano non ha nulla. È il nuovo album dei Phoenix che suona come ogni altro recente album dei Phoenix, solo che stavolta nomina Battiato, Lucio (Dalla o Battisti che importa?), Sanremo e il gelato. Solo a cagione di uno sforzo disumano si è evitato di inserire la pizza, il mandolino e la mafia. "Ehi baby, ti faccio vedere come vincere il mio Festival di Sanremo", dice Mars nella seconda traccia. È così che nasce e muore il tributo che i Phoenix sono in grado di rivolgere all'Italia. Si prova anche a cantare qualche parola nell'idioma di Dante e la loro fortuna - loro ne sono coscienti - è che se un italiano prova a cantare una canzone usando un inglese scorretto o banale risulta un inetto; se uno straniero, invece, mette in fila un paio di frasi in un italiano scadente (perché scrivere un brano intero sarebbe impegno davvero troppo gravoso e un omaggio fin troppo sincero) fa la figura del figo. Non solo, rischia pure che gli italiani, abituati a starsene ai margini dell'ambiente musicale internazionale, lo ringrazino, accompagnando l'inchino con un pizzico di lusinga. "Non posso vivere. Troppo bisogno di te" è lo struggente messaggio che vola da un cellulare all'altro, da chissà dove fino a Hollywood, nella conclusiva "Telefono".
In mezzo a questo coacervo di luoghi comuni riesce a trovare spazio pure la "spocchiosità", un termine troppo italiano per essere capito da Mars. Ascoltando "Ti Amo", infatti, è arduo immedesimarsi e provare una minima dose di empatia per chi canta della mancanza per sua moglie - regista pluripremiata e figlia di Francis Ford Coppola - per le scorribande in motoscafo e per lo shopping tra le luccicanti vetrine di Via Veneto. Era mille volte meglio quando di Roma se ne parlava in termini più sottili, paragondando lo status delle sue rovine a quello di un rapporto amoroso in avviata consunzione ("Rome" da "Wolfgang Amadeus Phoenix", 2009).
I Phoenix sono sempre stati spudoratamente ammiccanti e anche in questo aspetto si è celata la loro forza. Il problema è che, al di là dell'atteggiamento, negli ultimi anni - a parte il cambio di direzione già citato sopra - il modo in cui la band di Versailles ha strizzato l'occhio al pubblico non è cambiato di molto: chitarre à-la Strokes e fraseggi di synth che si sovrappongono, disegnando ritmi e melodie ballabili, orecchiabili e presto cantabili; divagazioni lisergiche e strumentali (o quasi-strumentali) che pennellano sfumature più variegate, dando un leggero tocco di complessità all'album. Lo hanno fatto in "Wolfgang Amadeus Phoenix", con la versione studio di "Lisztomania" o, in modo più deciso, con "Love Like Sunset"; lo hanno fatto in "Bankrupt!", con il brano omonimo; lo fanno ora, nella coda di "Fior Di Latte" o nella vaporosa "Via Veneto", che assume sembianze quasi chillwave. A dirla tutta, "Ti Amo" è orfano di quel brano meramente strumentale che tanto piace ai Phoenix, aspetto che dà al disco il merito di essere più leggero e scorrevole di quanto già non lo sia di per sé, vista la sua esigua durata (poco più di mezz'ora).
"Ti Amo", in conclusione, ribadisce per l'ennesima volta chi sono i Phoenix: abilissimi creatori di successi dance-pop (e ce ne sono anche nell'ultimo lavoro: la bella "J-Boy" e la dolce/erotica "Fior Di Latte" su tutte) che non sanno - e forse neanche vogliono - spingersi oltre. Scrivono "Ti amo" sui muri, se lo tatuano addosso, ma quando parlano di Italia non hanno interesse a immedesimarsi nella cultura autoctona e nella sua musica, né a trovare un luogo che possa raccontare qualcosa di un popolo; non confrontano guide del posto, non chiedono suggerimenti a chi lo abita. Sono come studenti che scrivono un tema a tirar via, sfiorando il contenuto della traccia solo per dire di averlo fatto. È sufficiente sedersi al ristorante di fronte al Colosseo e chiedere una pasta all'Alfredo, per poi baciarsi la punta della dita con le labbra unte ed esclamare: "belisssimo". Nulla di male, solo che io al tavolo di questo ristorante preferisco non sedermi.
Grazie a Martina Monnanni
30/06/2017