Generato a inizi anni 80 dalla fusione di due act dell'underground industriale brianzolo, Die Form e Orgasmo Negato (poi ribattezzati in Nulla Iperreale), da cui proviene un giovane Paolo Cantù, il collettivo Tasaday muove i primi passi nell'happening art industriale dei Throbbing Gristle e fa il paio con i coevi esperimenti di Maurizio Bianchi, tra allucinati rintocchi, campionamenti distorti, radioworks, e vocalizzi psicotici. Nel 1984 escono così diverse cassette: "Aprirsi nel silenzio", "Tra le rovine dei sensi", "Implosione tra le pieghe dell'anima" ecc.
Cantù lascerà a breve per andare a formare i più convenzionali Six Minute War Madness. Per il collettivo non è un deficit, anzi di qui in poi assumerà una line-up stabile (Marco Camorali, Raimondo Maggioni, Alessandro Ripamonti, Alessandro e Carlo Ronchi, Stefano Sangalli) che porterà alla realizzazione del primo vero album: "L'animale profondo" (1986).
L'estetica di quella che è ormai divenuta una band a tutti gli effetti è ormai chiara: i riverberi accentuati oscenamente in pieno stile Throbbing Gristle, in "Presenza impossibile", hanno anche elementi scenografici grotteschi (mitragliate di percussioni ripetitive a marcetta, paludi di sax amorfi, strepiti inintelligibili) che la trasformano in una sorta di circo. Così per il comizio elettronico a mo' d'incubo, con declamazioni affannose, di "Un falso destino".
A questa, che è la loro idea di caos, si contrappone "Si-Ma-To-Re", che inizia con calma letteralmente zen, un mantra di santone scandito da campanelli e campane tibetane, e si attornia di repellenti contrappunti dissonanti. Gli sono analoghe "Le porte dell'equilibrio", ancor più subliminale con le sue percussioni ribattute da rituale oscuro, il suo duetto di flauti di pan, le voci sciamaniche in lontananza, e appena qualche colpo di ferraglia, e il carnevale esoterico arricchito di stridori orripilanti - da far tremare gli Aktuala - di "La sacralità senza tempo". Queste due direttrici, elettronica e tribale, convergono per vie subliminali in un'ulteriore disgiunzione semiotica, il terrificante cataclisma quasi-cosmico di "Dove tutto sembra perduto".
Ristampato nel 2017 (prima volta in cd) da una co-produzione tra Spittle Records e Officina Fonografica Italiana, col valente missaggio di Simon Balestrazzi e una bonus track ("Un falso destino", testata dal vivo prima dell'uscita dell'album, 1985), è un classico, misconosciuto e incompreso, del rock informale italiano. Non tutto affoca la mira della composizione, ma conturba ed evoca immagini esoteriche, dalla qualità a tratti persino cinematografica, che vanno anche oltre i già esplicativi titoli. E sono rilevanti anche intro e outro, in particolare "Per ora non ancora", minuto e rotti di musica impossibile a tecnica mista.
07/08/2017