Difficile non voler bene ai fratelli John e Michael Gibbons, non fosse altro per aver consegnato agli storici dello space-rock un paio di tomi di riferimento (“Amanita”, “Bufo Alvarius, Amen 29:15”) il cui fascino sembra resistere al passare del tempo, ma anche per aver osato violare i confini di genere nella creativa collaborazione con Roy Montgomery nel progetto Hash Jar Tempo.
“Vol 8” festeggia il venticinquennale della band, con un condensato stilistico che ne mette insieme tutte le peculiarità, senza apparire nostalgico. Psichedelia a base di drone-rock, chitarre sfibrate e arrugginite, atmosfere dense come una colata lavica e un suono da jam session registrate nel deserto: questo è quanto i Bardo Pond hanno offerto fino ad ora, ed è quello che dimostrano di saper confezionare ancora con classe e un briciolo di energia.
In verità la formula ha di recente mostrato le prime crepe con una serie di album dal fascino alterno, ed è per questo motivo che dopo l’ennesimo tentativo di rendere più fruibile le pur sempre lodevoli escursioni chitarristiche (“Under The Pines”), la band americana ritorna nei meandri più lisergici e tenebrosi degli esordi, aggiungendo un ottavo capitolo alla serie di album intitolati “Vol…”, fino ad ora distribuiti solo su Cd-r. Una sequenza di progetti pubblicati dal 2000 a oggi con l’intento di raccogliere improvvisazioni e jam session.
Destinato a rafforzare il plauso dei fan, più che a raccogliere nuovi adepti, “Volume 8” riesce comunque a preservare una giusta dose di tensione emotiva, giustificandone la pubblicazione ufficiale su Fire Records. Mentre episodi come “Kailash” e “Cud” si agitano su cliché lisergici e psych-rock già ampliamente trattati, la grazia semi-acustica di “Power Children” apre scenari più tenui e descrittivi, con il flauto di Isobel Sollenberger in piacevole evidenza. Più incisiva è la cupa e dolente “Flayed Wish”, graziata da accordi di chitarra apparentemente distorti, e al contrario riluttanti a prendere una direzione o una timbrica ben definita.
Sono comunque i diciassette minuti di “And I Will” il punto focale di “Volume 8”, non solo per la sempre eccellente performance vocale di Isobel, o per il granitico impeto chitarristico che da sempre contraddistingue la band, ma per quel perfetto equilibrio tra rabbia e poesia che dopo tanti anni di carriera è esemplare dell’integrità artistica della band.
In definitiva il nuovo album dei Bardo Pond, pur non raggiungendo le vette di un tempo e con un evidente inaridimento della scrittura, riesce per questa volta a risvegliare in parte i vecchi ardori, con la speranza che ciò sia preludio a una rinnovata energia creativa.
19/06/2018