L’ascesa dei Girls Names all’interno del panorama contemporaneo della new wave è stata graduale e ricca di interessanti sviluppi. Un percorso che è culminato nell’infuocato ed ispirato “Arms Around A Vision”, il cui tripudio di shoegaze, noise e post-punk è stato salutato dalla critica come un trionfo di creatività e autonomia stilistica.
Il quinto album del gruppo di Belfast giunge dopo un periodo controverso e travagliato, contrassegnato dall’abbandono del batterista Gib Cassidy (il quale a sua volta aveva sostituito il membro fondatore Neil Brogan) e da una serie di difficoltà e ripensamenti che hanno costretto i musicisti ad accantonare un album già pronto, per ripartire da zero dopo una pausa di riflessione.
L’ingresso della drum-machine sconvolge non poco l’organicità del suono della band, alle prese con il suo album più introverso e nostalgico, un progetto che per molti fan suonerà come un passo indietro e che invece apre nuovi scenari per il futuro degli irlandesi.
Nel reinventarsi come novelli Cure/Joy Division, i Girls Names catturano con sonorità convincenti e una buona manciata di canzoni lo spirito post-punk degli Eighties con una sufficiente dose d’inventiva. Non tutto è perfettamente a posto in “Stains On Silence” (titolo mutuato da una frase di Samuel Beckett), ma il tentativo coraggioso e consapevole di non voler indugiare sulle fortune di “Arms Around A Vision” è encomiabile.
Spetta all’introduttiva “25” inaugurare il nuovo mood sonoro della band: suoni ovattati, tastiere sognanti, atmosfere da film noir o dark, minimalismo ritmico tra l’ossessivo e il cupo. Il tutto condito da un cantato volutamente sgraziato e sofferto il cui compito è quello di smorzare i fasti elettronici. Sopra questo assetto sonoro i ragazzi di Belfast introducono lievi variabili: c’è infatti una malsana vena funky immersa in un oceano di tastiere darkwave nell’ispirata e seducente “The Impaled Mystique”, nonché un insolito ottimismo nella linea ritmica della drum-machine che accompagna la passionale digressione lirica di “Karoline”.
Un approccio più sperimentale (“A Moment And A Year”) e il ricorso a tecniche di registrazione e produzione più elaborate (la title track) qualificano “Stains Of Silence” come l’album più complesso dei Girls Names, anche se alcune ingenuità, come la prevedibilità e i cliché di alcuni brani (“Haus Proud”, “The Process”,“A Fragments Of A Portrait”) incoraggiano paragoni non sempre vantaggiosi per la band (Bauhaus, These Immortal Souls).
Senza dubbio Cathal Cully e compagni sono alquanto consapevoli di aver intrapreso una strada difficile e irta di ostacoli, senza lo slancio lirico del passato e con degli arrangiamenti più aspri e indolenti; tutto appare meno avvincente e immediato. “Stains On Silence” è il frutto di un periodo tormentato da dubbi e ripensamenti, ed è impossibile non notare quanto questo abbia influito su un progetto apprezzabile più per le premesse che per i risultati, ma per i Girls Names si sono aperti interessanti spiragli, e sarà ancora una volta avvincente scoprire dove tutto questo li condurrà in futuro.
25/06/2018