A pochi è concesso di poter chiudere il cerchio della propria opera in piena coscienza, apponendo in maniera soddisfacente il sigillo su un’intera vicenda di vita e arte: nonostante la prematura scomparsa, avvenuta meno di due mesi fa, per Jóhann Jóhannsson è stato così, con un perfetto – sebbene casuale – ritorno all’origine della sua premiata carriera di compositore.
Assieme alle colonne sonore per “The Mercy” e “Mary Magdalene”, infatti, il maestro islandese aveva appena portato a termine il progetto di rimasterizzazione del suo album d’esordio come autore solista, uscito su Touch nel 2002, assieme ad alcuni rework a opera di amici musicisti e stimati colleghi d’area ambient/neoclassica. Oggi quello che nasceva come un affettuoso omaggio è divenuto un commosso addio, nonché l’ideale epitaffio per un grande protagonista della musica contemporanea.
“Ha vissuto per la musica. Era tutto per lui”, ricorda l’amica e collaboratrice Hildur Guðnadóttir in una dichiarazione rilasciata all’Hollywood Reporter, descrivendolo come un lavoratore infaticabile e infinitamente appassionato. Non cessa di lasciare sgomenti il pensiero che solo quindici anni ci separino dalla pubblicazione di “Englabörn”, promettente avvio che in seguito gli sarebbe valso un contratto con la 4AD e, più di recente, con la Deutsche Grammophon, impegnata nel perpetuarne la memoria con sincera commozione.
Il suo remaster di quest’opera prima, riedita in doppio Lp e cd, fa splendere di luce nuova tutti gli elementi distintivi del sound di Jóhannsson: tessiture d’archi eterei (Eþos String Quartet), pianoforte e harmonium, xilofoni e sottili modificazioni digitali, come glitch puntiformi che lasciano filtrare i germi del terzo millennio tra i solchi di un accorato revival classicista.
Già in origine l’opera, scritta per un testo teatrale di Hávar Sigurjónsson, sembrava scaturire da un’unica cellula melodica, quel “Odi Et Amo” intonato con fredda esattezza da una voce robotica, poi declinato più o meno fedelmente in eleganti variazioni cameristiche: sulla carta si tratterebbe di un mero esercizio di ripetizione differente, ma nelle mani di un compositore sensibile come Jóhannsson esse non possono che divenire le sfumature complementari di uno stesso sentimento, tali da configurare “Englabörn” come una raccolta estremamente coerente di frammenti emozionali, dagli arrangiamenti maggiormente stratificati (“Sálfræðingur”, “Ég átti gráa æsku”) sino al più squisito riduzionismo (“Bað”, “Karen Býr Til Engil”).
Una tavolozza che oggi possiamo dire di conoscere molto bene, anche grazie all’indubbia qualità cinematica che ha così tanto influenzato la settima arte, purtroppo sino a divenire un ennesimo cliché. Ma ciò non può sminuire in alcun modo la valenza espressiva dell’artigianato musicale di Jóhannsson, come quello dei comprimari Arnalds e Richter.
A posteriori, il tributo collettivo del secondo cd è decisamente un colpo al cuore. Dall’enfatico crossover acustico/elettronico di Dustin O’Halloran coi suoi A Winged Victory For The Sullen – forse l’elegia più toccante di tutte – si apre un ventaglio di rielaborazioni che riescono addirittura a sublimare quella profonda malinconia che ha attraversato l’intera produzione del talento nordico. Dal piano solo sulle note della title track, affidato al giovanissimo Víkingur Ólafsson (tra le ultime rivelazioni della stessa Deutsche Grammophon), si passa al diafano e brumoso contributo di Ryuichi Sakamoto, contraccambio per il recente “rimodellamento” di Jóhannsson nella compilation attorno all’ultimo lavoro in studio del luminare nipponico, “async”.
Profonde linee di violoncello sono alla base delle riletture da parte dei connazionali Viktor Orri Árnason e Hildur Guðnadóttir, ma ben più abissali sono le frequenze del drammatico rework di Alex Somers (compagno di Jónsi dei Sigur Rós), mentre su un registro più acuto risuona l’orchestrazione artificiale di Paul Corley (raffinato arrangiatore per Ben Frost e Those Who Walk Away).
Tra i passi eccellenti vanno inoltre citate le due paradisiache trascrizioni corali interpretate dal Theatre Of Voices, ensemble col quale si è realizzato l’innovativa partitura di “Arrival”. Completano il quadro due reprise di “Odi Et Amo” reimmaginati dallo stesso Jóhannsson assieme al nostrano Francesco Donadello, membro dei Giardini di Mirò e dei sopracitati Winged Victory.
Così, inconsapevolmente, il timido capofila neoclassico dirigeva quello che sarebbe divenuto il suo autentico requiem: non possiamo fare altro che ammirarne, ancora una volta, il gusto per una composizione precisa ed essenziale, lo spontaneo rifiuto di una vana magniloquenza in favore di un’umiltà assoluta e mai rinnegata, nemmeno al raggiungimento del tardivo ma meritato successo con la musica per il cinema. E non si tenti in alcun modo di strumentalizzare la tempestiva pubblicazione di questa pregevole reissue, poiché proprio ora c’è la necessità di tornare ad ascoltare la voce confortante di Jóhann, commemorando la sua innata vocazione a trasformare il dolore in meraviglia.
28/03/2018
Cd 1
Cd 2