Cinque anni dopo il mezzo miracolo di "Immunity", Sua Maestà Jon Hopkins torna a farsi vivo carico di meraviglie, a cominciare dal cielo stellato in copertina e dal titolo di questo suo nuovo "concept", costituito in seguito al profondo percorso meditativo intrapreso dal produttore negli ultimi anni. Un cammino "new age" orientato al confronto (impietoso) tra uomo e firmamento, micro e macro, terra e cielo. Un disco che comincia e finisce con la medesima nota: dunque una sorta di big bang e successivo big crunch a chiudere definitivamente il cerchio dell'esistenza nella stessa porzione infinitesimale di spazio in cui tutto è cominciato. Il titolo, "Singularity", incarna appieno tale inclinazione, e tira in ballo il fatidico punto in cui la curvatura dello spazio-tempo tende a un valore infinito.
Al di là dei significati "scenografici", posti da contorno all'opera, il saggio Jon cura ancora una volta al meglio la produzione: ogni singola sfumatura è dilazionata con precisione, ed è sorretta da beat che svolazzano senza mai sbandare. Restando ben fermi lungo la scia della metafora scientifica, si potrebbe dire che Hopkins si comporta come un fisico del CERN alla console. Peccato però che dietro tutta questa mole infinita di calcoli astrofisici sciorinati con la consueta compostezza, l'elemento vibrante tenda il più delle volte a essere posto in un angolino. E il risultato che ne consegue è una serie di tracce suggestive in partenza, ma estremamente asettiche, immateriali, prive di calore e passione.
Un progetto dunque presentato con le migliori credenziali, apparecchiato con la più eccitante strumentazione, con i migliori "scienziati" al proprio fianco: Leo Abrahams, Clark, e Jon Thorne (giusto per citarne alcuni). Eppure, un lavoro terribilmente sciatto, confezionato con furbizia, talvolta piatto. In sostanza, siamo dinanzi a un melting pot di piroette micro-house, pulsazioni liquide lasciate fluire con un dosaggio meticoloso, rimbalzi electro sparsi qui e là, spesso senza alcun mordente, e ripartenze ritmiche che aggiungono poco a quanto dimostrato negli ultimi luminosissimi anni; un disegno in cui si sommano di volta in volta architetture e trame elettroniche che somigliano a dei potenziali scarti del sopracitato "Immunity" ("Everything Connected").
È ovviamente lo stile a cui ci ha abituati da sempre il buon Hopkins, ma ciò non basta a giustificare il piattume che avvolge l'insieme. Sono ben cinque anni che la platea attende al varco, e in devoto silenzio, l'acclamato musicista britannico. L'esigenza è di conseguenza oltremodo lecita e la delusione finale, purtroppo, a dir poco tanta. Le parti al piano in modalità ambient, con il divino e irraggiungibile Eno nel mirino, aggiungono inoltre solo una considerevole dose di finissima noia. Hopkins ha sicuramente trovato la propria luce, il proprio quid armonico, ammirando la volta celeste con lo sguardo dell'uomo ormai maturo, pronto al decollo interiore; ciò nonostante, una volta rientrato in studio, non è riuscito a trasmettere con vigore questa sua pienezza, l'agognato karma.
Così, il più delle volte ci si trova al cospetto di partiture estremamente effimere, quasi delle melodie rilassanti di un centro benessere di seconda fascia ("Feel First Life"). Una carenza di ispirazione che disorienta e che lascia decisamente amareggiati. Il producer inglese insegue a più riprese il proprio appagamento (come, ad esempio, nella conclusiva "Recovery", che sembra uscita da un mediocre disco modern classical di dieci anni fa), mira di continuo a una riflessione totalizzante, ma finisce per rimanere a lungo sospeso sopra una nuvola di incastri ritmici e pattern eterei inconcludenti ed eccessivamente volatili (su tutte, la scipita "Luminous Being").
Insomma, si potrebbero scrivere fiumi di parole sulla bontà di Hopkins, tentando di quantificare con qualche piroetta il peso di questo suo ultimo messaggio. Ma servirebbe a poco. Manca parecchia ciccia, e la faccenda a suo modo conta.
Non resta quindi che cestinare in fretta questo passo falso, e far finta che non sia successo nulla. "Singularity" è in fin dei conti un meteoroide, un abbaglio estremamente perdonabile, visti i trascorsi più che positivi del peso massimo in questione.
08/05/2018