Chi ha seguito i continui saliscendi del suo ultimo ventennio di vita sa bene che il principale problema di Mariah è sempre stato solo uno: se stessa. Grandi successi, insormontabili record discografici e quei maledetti diciotto numeri uno in classifica si sono progressivamente trasformati in altrettante pietre al collo, una montagna di numeri per noi irrilevanti ma che a lei hanno impedito di mantenere uno sguardo oggettivo sulla propria carriera, spingendola quindi verso quella pericolosissima dinamica secondo cui una cosa è valida solo quando apprezzata dal Grande Pubblico. Ripetitività della formula per rincorrere il successo, rifrullo delle mode e l'ageism rampante dell'industria han fatto il resto, relegando una delle voci più rinomate della storia dell'r&b verso una paradossale semi-pensione. Il tutto a nemmeno cinquant'anni compiuti.
Ed è per questo che l'esibizione di cui sopra e l'ascolto dell'intero "Caution" fanno specie, perché finalmente ritroviamo una Mariah che guarda alla contemporaneità senza annaspare e nel frattempo si prende pure una quieta rivincita. Certamente l'assist offertole da Drake su "Scorpion" giusto qualche mese fa deve averla scossa dal torpore, ma era comunque solo questione di tempo. Basta infatti un rapido sguardo all'odierno panorama mainstream anglofono per notare come pop, r&b e hip-hop si siano ormai innestati l'uno sull'altro in maniera quasi indissolubile, e in questo il passato di Mariah è più rilevante oggi che non ai tempi. Era il '95 quando lei rompeva la tradizione di bambolina dalla voce d'oro e invitava Ol' Dirty Bastard a prendere parte alla versione remix della sua bianchissima hit spaccaclassifiche "Fantasy", e da lì in poi il suo curioso e versatile stile meticcio è arrivato a toccare tutti gli angoli della musica nera, dal jazz al gospel all'hip-hop, illustrando la via a questo contemporaneo esperanto da classifica.
Non che "Caution" sia una rivoluzione francese; la scrittura in midtempo e l'interpretazione vocale giocata sui continui cambi di registro - peculiare "firma" da lei coniata grosso modo ai tempi di "Emancipation" - rimangono spesso invariate anche qui - vedasi il trittico "One Mo' Gen", "8th Grade" e "Stay Long Love You", o l'altro pur piacevole singolo "With You", tutti pezzi che scorrono nella media del prevedibile senza mai un vero scossone.
Ma la nuova veste sonora che avvolge il lavoro è più fresca e moderna che mai, zeppa di vellutate partiture elettroniche e di sinuosi beat co-prodotti con uno squadrone di giovani e vecchie leve da Timbaland a Skrillex. Ritrovati sia il senso dell'ironia che una penna sempre affilatissima quando si tratta di analizzare i perché e i percome dei problemi sentimentali, Mariah infila una serie di suadenti e maturi pezzi r&b. Che sia il morbido ma sardonico singolo di lancio "GTFO" (pezzo il cui refrain ha già riscosso un enorme successo tra i fruitori di meme), le vaporose tastiere della title track, o l'irresistibile accoppiata "The Distance" e "A No No", quel suo vecchio spirito da verace newyorkese con la lingua svelta e il fanculo sempre pronto torna finalmente a fare capolino.
Certo, la Mariah di oggi è anche una donna matura e madre di due gemelli, nelle retrovie del suo elastico songwriting si agitano sentimenti quali malinconia, nostalgia, solitudine e ansia. C'è quindi un pezzo che sulle prime scorre quasi in silenzio ma che con gli ascolti si rivela la vera anima dell'intero progetto: "Giving Me Life", imperscrutabile traccia alt-urban-soul di oltre sei minuti, condita dalla presenza di Slick Rick e la co-produzione di Blood Orange - quest'ultimo in particolare innesta filamenti di chitarra e sax su un finale di fumi e nebbia da pomeriggio autunnale passato in solitudine sulla sponda dell'Hudson River. Menzione di riguardo anche per il delicato bozzetto pianistico di "Portrait" messo in chiusura, altro momento intimo e senza fronzoli, interpretato con navigata semplicità - la voce di Mariah oggi non osa più arrampicarsi sui vertiginosi acuti del passato, ma l'età le ha fatto guadagnare di timbrica e di carattere, e questo pezzo ne è una buona riprova.
Non saranno certo "Caution" e i suoi singoli a riportare la Carey ai grandi numeri degli anni 90, vuoi per l'età dell'autrice, vuoi per un contenuto musicale sicuramente troppo maturo e umbratile per farsi spazio tra la trap e i culoni reggaeton del momento. Con sole dieci canzoni in scaletta per meno di quaranta minuti di durata, il disco è già penalizzato a prescindere dalle regole dello streaming, ma pur nella sua uniformità sonora ci guadagna in fruibilità e qualità media, che poi è quello che conta.
Con "Caution" Mariah sembra voler aprire una nuova fase, come se avesse ritrovato il bandolo della matassa dopo i tumulti di salute, le voci di alcolismo e il crollo del suo ultimo matrimonio - tutti episodi che avevano portato al denialism del precedente "Chanteuse". Forse, insomma, Mariah ha finalmente capito che non ha più bisogno di essere la numero uno per mantenersi rilevante, che una carriera lunga e ricca come la sua è già un traguardo che pochissime altre nella storia possono vantare e che con quel classico natalizio in saccoccia continuerà comunque a sfamare tutti i Carey fino alla sesta generazione. Riuscirà ad accontentarsi? "Caution" per ora le sta facendo guadagnare favori critici inusitati per i suoi standard, e se non ha esattamente fatto sfracelli in classifica, speriamo qualcuno le ricordi che fare grandi numeri col quindicesimo album di studio in trent'anni di carriera non è proprio un'aspettativa reale - quelli al massimo sono miracoli da Cher e Tina Turner.
(17/12/2018)