Dal corrosivo nome Viet Cong al più banale Preoccupations il passaggio è stato doloroso, meno traumatica è stata l’evoluzione dalle corrosive e granitiche sonorità post-punk della prima formazione a quelle meno furiose e inquiete dell’attuale denominazione.
Ed è proprio nelle atmosfere più dark dell’esordio a nome Preoccupations che affonda gli artigli “New Material”, un progetto che gioca ancora con le trasfigurazioni malinconiche dei Joy Division, mettendo un piede nell’oceano lirico di Cure, New Order e perfino Gary Numan.
L’idea di base è sempre quella di ottenere un suono disturbante o comunque non del tutto conciliante, lasciando fluire le minimali strutture armoniche post-punk alla maniera dei Killing Joke o del Bowie era berlinese.
Il risultato è distonico, la tensione emotiva è spesso imbrigliata tra un’interessante impostazione ideologica e una serie di canzoni che soffrono di vertigini liriche, le quali raramente colgono l’essenza di quel post-modernismo sbandierato nella splendida copertina.
Ancora una volta la sequenza dei titoli corrisponde a stati d’animo o contesti specifici, ma raramente l’album cattura l’intensità delle suggestioni evocate. “Espionage” mette subito in chiaro lo svisceramento concettuale che caratterizza il nuovo corso dei Preoccupations, tutto il mistero e la magia della musica resta ancorata alle sonorità cupe e atonali dell’epica post-punk.
Nessuna traccia di “New Material” possiede la stessa allucinante bellezza di “Memory” o la geniale progressione ritmica di “Degraded”, l’urgenza degli esordi è stata ormai scavalcata a sinistra da suoni scintillanti o forzosamente ottusi, che nel migliore dei casi evocano i Chameleons (“Antidote”), mentre spesso indugiano in stratificazioni sonore che somigliano alle pagine meno incisive degli Interpol (“Disarray”) o perfino a suggestioni Talking Heads-meets-Television (“Decompose”).
Nel tentativo di rendere più armoniosa la loro musica, i Preoccupations perdono un po’ di spessore e originalità, la narrazione delle difficoltà esistenziali legate alla depressione e all’ansia è diventata alfine un modello ideologico più rigoroso (“Manipulation”), smorzando l’originaria irruenza anni 80 tipicamente new wave che tratteggiava in maniera esemplare il senso di disperazione e isolamento generazionale.
“New Material” non è un brutto disco, anzi la voce di Matt Flegel è piacevolmente scarna, ma mai veramente catartica, anzi spesso offuscata, gli elementi musicali sono sempre abilmente incastrati, eppur privi di un’estetica parimenti ricca.
L’unico vero momento di “preoccupazione” è racchiuso nei quattro minuti e trentanove secondi di “Doubt”, troppo pochi per poter nascondere lo sfilacciamento creativo di una band sempre più attenta all’estetica che alla sostanza (“Compliance”).
Nel tentativo di raccontare le moderne distopie personali e sociali, i Preoccupations restano alfine vittima dell’oblio creativo generato dall’autocompiacimento.
31/03/2018