A. A. Bondy

Enderness

2019 (Fat Possum)
alternative, songwriter

Era rimasto avvolto dall’oscurità delle solitarie strade delle cittadine americane, delle quali aveva raccontato il fascino inquieto e solitario nell’album “Believers”. Dopo otto anni, Auguste Arthur Bondy ritorna sul luogo del delitto, questa volta senza alcun complice, in qualità di unico manipolatore di strumenti filtrati da sonorità elettroniche che danno origine a un insieme che a molti ricorderà “White Ladder” di David Gray, ma anche Bon Iver o John Martyn dell'era “One World”.

“Enderness” è l’ennesimo cambio di rotta per l’artista americano. Abbandonate definitivamente le sonorità grunge dei tempi in cui sotto il nome di Scott calcava insieme ai Verbena i palcoscenici internazionali (i nostri connazionali furono costretti a modificare la loro denominazione in Verdena), e dopo un inizio da solista all’insegna di un country ombroso e non molto personale, A.A. Bondy abbraccia l’elettronica e il lo-fi, preservando quel languore straziante che il precedente album aveva messo brillantemente a fuoco.

Tutto è ridotto ai minimi termini in “Enderness”, a partire dalla copertina, caratterizzata da una figura umana appena tratteggiata su un fondo bianco, priva non solo del volto ma anche di qualsiasi identità sessuale. Anche il titolo è sprovvisto di un significato reale o recondito, perfetto a ogni modo per descrivere il lieve senso d’alienazione che pervade l’album.
È una musica, quella di A.A. Bondy, nella quale è facile perdersi, isolarsi, tra riferimenti culturali audaci (cocaina e svastica in “Diamond Skull”, suicidio e Manson in “Fentanyl Freddy”) e istantanee sulla società moderna che sembrano preda della disperazione (“I’ll Never Know”).

Il nuovo lessico musicale/letterario del musicista americano è inquieto. Le sonorità hanno il calore glaciale di “Low” (“The Tree With The Lights”), la complessità emotiva di “World Of Echo” (“Pan Tran”), la rabbia sommessa dei Red House Painters (“#Lost Hills”) e perfino un tocco urban-noir alla Blue Nile (“Killers 3”). A.A. Bondy continua a raccontare la vita ai margini della moderna America, tra apocalissi ambientali e umane raccontate su groove elettronici pulsanti e quasi sentimentali (“Images Of Love”) e algide e volubili armonie che sembrano generate in automatico da un laptop (“In The Wonder”).
Sembra far rumore la chitarra che regge il mood di “Diamond Skull”, ma è solo il suono del tormento carnale che Bondy prova a seppellire sotto strali di synth, organi e drum-machine, a volte ricorrendo a contrappunti armonici che stritolano una delle melodie più incantevoli dell’album, facendo sgorgare sangue, sudore e lacrime (“Fentanyl Freddy”).

È un album quasi terapeutico, “Enderness”, un insieme di suoni ipnotici e dolorosi che potrebbero essere ben riassunti con il termine synthetic-blues. Dieci tracce dal potere lenitivo che spero siano tornate utili ad Auguste Arthur Bondy quando, esattamente il giorno dopo aver concluso le registrazioni del disco, ha visto andare in fiamme la propria casa; credo tuttavia che ciò che spaventa il musicista umano non siano le rovine fisiche, ma quelle emozionali.Chi ha amato “Believers” forse resterà un po’ deluso dalla coltre di synth che ha reso scheletrico il ruvido mix di country, folk e blues del passato. Ma tra tutte le incarnazioni del musicista americano, questa è senz’altro la più coraggiosa e indimenticabile.

05/06/2019

Tracklist

  1. Diamond Skull
  2. Killers 3
  3. In The Wonder
  4. The Tree With The Lights
  5. Images Of Love
  6. I'll Never Know
  7. Fentanyl Freddy
  8. Pan Tran
  9. #Lost Hills
  10. Enderness




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