Apparat

LP5

2019 (Mute)
ambient pop, idm

I primi a tornare recentemente alla loro forma originale sono stati i Modeselektor, con “Who Else”. Li segue praticamente a ruota Sascha Ring aka Apparat, con questo suo “LP5”. Si tratta di due ritorni al progetto madre molto interessanti sin dalle premesse. Perché Moderat, la formazione che mescolava nomi e idee delle due realtà elettroniche tedesche, non è un side project come tanti altri. Con all’attivo tre lavori, la sigla congiunta era finita infatti col fagocitare, almeno in termini di fama, le due realtà originanti, doppiandole in termini di notorietà, portando i producer teutonici in cima ai cartelloni di numerosi giganteschi festival estivi. Una sbornia alla quale probabilmente i tre non erano preparati.

“Who Else” e “LP5” possono essere considerate a pieno titolo due chiare reazioni all’esperienza Moderat; due reazioni estremamente diverse tra loro. Il coming back dei Modeselktor è infatti un ritorno alle origini brutale e secco, un disco spigoloso, non del tutto riuscito, ma coraggioso e franco – dato quanto le tendenze elettroniche siano cambiate rispetto ai tempi del loro penultimo disco, l’acclamato “Monkeytown” del 2011. Apparat, invece, aiutato dal fatto che del trio fosse una specie di frontman, ha fatto tesoro dell’esperienza, conservandone per questa sua opera numero cinque diversi tratti.

“LP5” è difatti un disco molto orecchiabile, molto meno ostico e devoto alla cassa di quanto prodotto da Ring in precedenza. Si tratta come sempre di musica molto stratificata, dalle strutture mediamente complesse, ma mai così tanto da renderla impenetrabile anche ad ascoltatori meno abituati alle sonorità proposte: pare difatti chiara l’intenzione del producer di voler trattenere il grosso del pubblico conquistato con i Moderat. La base instabile dell’Idm di Apparat è sempre costituita da cigolanti suoli di synth, mentre sono maggiorati gli interventi strumentali. È praticamente onnipresente il pianoforte, che guida numerose melodie; come quando si trascina stanco tra le dune lunari di “EQ_Break” o avanza un po’ più risoluto in “OUTLIER”. Numerosi anche gli archi, ora lontani stridori che interferiscono con i sintetizzatori, ora avvolgenti e calorosi protagonisti (“CARONTE”).

Si tratta poi di un disco dalle atmosfere molto meste e statiche (anche troppo in realtà), effetto ottenuto riducendo i beat al minimo e grazie ai numerosi e dolenti interventi canori. Pare quasi che i dieci brani cerchino perennemente di accumulare la tensione, fino a liberarla fugacemente nel finale di “IN GRAVITAS”, unico brano che presenti una cassa dritta pestona come si deve.
Fortissima è al solito l’influenza dei Radiohead, e che Yorke e Ring si siano sempre piaciuti non è un mistero, sin dai tempi delle playlist del "Dead Air Space". “BRANDENBURG” è da questo punto simbolica, sia per il cantato fratturato dagli effetti che per l’arpeggino insistente alla “In Rainbows”.

“LP5” è un’opera molto matura e pregna di spunti, talvolta però un po’ troppo monocorde. Forse ad Apparat è mancato un po’ di quel coraggio che avrebbe potuto produrre picchi emotivi maggiori. La sensazione è infatti che Ring abbia camminato con i piedi di piombo, probabilmente sentendosi ancora molto legato alla recente esperienza vissuta con Sebastian Szary e Gernot Bronsert, incapace di staccarsene del tutto e di tornare se stesso al 100%.

02/04/2019

Tracklist

  1. Voi_Do
  2. Dawan
  3. Laminar Flow
  4. Heroist
  5. Means of Entry
  6. Brandenburg
  7. Caronte
  8. Eq_Break
  9. Outlier
  10. In Gravitas


Apparat sul web