Se siamo nichilisti è perché il mondo è nichilista, e bisognerebbe essere folli per sorridere a ciò che nullificaBastano queste prime parole poste nel proclama d'attacco, interno al libretto del diciannovesimo disco di "Humpty Dumpty", per intendere il leit-motiv su cui ruota la nuova opera del musicista siciliano. Il nichilismo, ossia quello strano serpente che striscia sul mondo, offre infinite chiavi di volta per una scrittura mai così magistralmente piegata su se stessa. Sul piano meramente musicale, "La vita odia la vita" espone, invece, nove movimenti rock che si snodano tra il drammatico e l'arguto, il richiamo noise e l'amplesso new wave di turno, fino a tracciare morbide elegie acustiche ("In absentia").
Per l'occasione, è il cinismo a farla da padrone. Un'impudenza a suo modo bieca e matura. Si "boccheggia", dunque, tra sussulti godaniani ("In absentia", ci risiamo) e svolazzi in scia Roxy Music (l'overture introduttiva de "L'orizzonte degli eventi") prima che il sipario si sollevi improvvisamente, mostrando tutta la fragilità, tanto teatrale quanto ipnotica, di Alessandro Calzavara, alla stregua di una "cartolina dai tempi del deserto, senza ombre, né storia alcuna". Le parole di Giulia Merlino inondano a loro volta grazia perpetua, sorrette puntualmente da quel sano ermetismo divenuto nel corso degli anni marchio di fabbrica del progetto Humpty Dumpty.
Con le dovute pinze, c'è financo del "sano" pop, ovviamente marcio, disarticolato e vagamente sconnesso, come una giostrina che ha perso diversi bulloni e gira tracciando ellissi differenti l'una dall'altra ("A vuoto"). Non manca l'ipnosi lisergica alla stregua di un Julian Cope che ha perso le chiavi di casa e fischietta un motivetto a casaccio mentre aspetta che qualcuno lo aiuti a scavalcare il cancello ("Anni luce"). Metafore surreali per partiture altrettanto surreali di un disco che mostra i cocci sparsi di un'inguaribile follia, la stessa che, in fondo, attanaglia l'esistenza, inducendoci spesso e volentieri verso un nichilismo salvifico, necessario, tutt'altro che distruttivo.
"La vita odia la vita" è un'opera magicamente sfuggente. Un album che muta e si converte traccia dopo traccia, dando vita a un'alchimia rigorosamente rock in opposition dal mood fiero e a tratti finanche "sbarazzino". Calzavara crea stravaganti bozzetti rock e graffia ancora una volta alla sua maniera. Per certi versi, è anche la sua opera stilisticamente più nevrotica, al netto della direzione, citata poc'anzi, intrapresa dalle parole. Della serie prendere o lasciare. Senza dubbio la prima.
(03/02/2020)