Un inizio di carriera d'altri tempi, quello di Sam Fender, che per far conoscere la sua musica, piuttosto che social e strutture promozionali moderne, ha preferito la buona vecchia gavetta. Un tour continuo e insistente. Prima limitato al solo, natìo Regno Unito, poi privo di confini; prima ospitato da vecchi pub, e accolto da una ristretta cerchi di fan, poi salutato da venue e folle via via più grandi, fino ad arrivare a Hyde Park, lo stesso giorno degli idoli Bob Dylan e Neil Young.
Una storia d'altri tempi, dicevamo, e come poteva essere il contrario con quel nome che odora di chitarre e sudore. Sarà anche di North Shields (sulle sponde del Tyne), ma la grandeur dello stadium rock di Sam Fender è puntata tutta sulla grande America di Bruce Springsteen, così che le sue arringhe su Brexit, differenze sociali e razzismo non solo siano gridate con voce profonda e sospinte da chitarre tonanti, ma sfocino in maestosi assoli di sassofono (quello dell'overture "Hypersonic Missiles" è micidiale).
L'heartland-rock "The Borders", che presenta un chitarrismo liquido come quello dei War On Drugs, ma privo della loro forza onirica, manifesta l'interesse di Fender anche per produzioni più moderne. "Will We Talk?", ad esempio, ha un lavoro di riffing arzillo e sincopato, come se gli Strokes si mettessero di punto in bianco a fare cover di Tom Petty.
Tra i testi più impegnati, va sicuramente segnalata la tagliente filastrocca di protesta "White Privilege". Al contrario, "That Sound" è meno raffinata, ma farà scatenare numerose platee. Qualche problema lo si riscontra nella gestione del minutaggio, appesantito sia da alcuni lenti poco riusciti ("Two People", "Leave Fast", "Use") che da alcuni pezzi potenti e orecchiabili, ma inutilmente enfatici, invero un pelino tronfi ("Play God"). Certo, così viene inficiata la fruibilità del lavoro, ma assolutamente non il talento e la personalità di Sam Fender, testimoniate con potenza da questo suo debutto, nonostante si muovano in un campo da gioco abusato.
20/09/2019