Any moment now, I will disintegrate.
La musica di "Melee" corre forte. È come la giovinezza: non ha tempo da perdere, deve bruciare nel più breve tempo possibile. Non c'è spazio per le indecisioni, solo un continuo alternarsi di pieni e vuoti, di vette e pianure, di furori e agonie. È la mischia ("melee", per l'appunto) del cuore e della ragione e chi sopravviverà non avrà modo di vantarsene. Perché quello che conta - in questi solchi in cui lo spirito dell'
hardcore, gli spigoli del Midwest emo e certo intellettualismo indie-rock se le danno di santa ragione, salvo scoprire poi che sono sulla stessa barca - quello che conta, dicevamo, è arrivare fino in fondo, con la consapevolezza che puoi ancora suonare roba già "sentita", l'importante è che tu lo faccia con il cuore in mano e col supporto di un
songwriting di tutto rispetto.
Alex Stoitsiadis (voce e chitarra), Parker Grissom (chitarra ritmica), Chase Macinski (basso) e Jacob Hanlon (batteria) provengono da Detroit, città che di storie rock "dure e pure" ne avrebbe da raccontare a bizzeffe (e non credo di dovervi suggerire i nomi dei protagonisti...). Storie che i ragazzi hanno mandato sicuramente a memoria, mentre buttavano più di un orecchio ai dischi di
Japandroids,
Crash Of Rhinos,
Cloud Nothings,
Cap N' Jazz e Sunny Day Real Estate. Nei suoi trentacinque minuti di durata, "Melee" ci ricorda, insomma, che voce-chitarre-basso & batteria possono aiutarci a sfogare tensioni e costruire mondi immaginari in cui collocare le nostre paure e le nostre speranze, quasi fossero stelle luminose in un cielo scurissimo.
"Kawasaki Backflip" attacca con un
riff squillante che è come una chiamata alle armi: la batteria suona la carica e la voce schizza verso l'alto, prima di una corsa a perdifiato in cui l'elettricità è il simbolo di uno shock emotivo che diventa estasi e catarsi. Dunque, "Bueno", tra innodia a perdita d'occhio, decelerando, rincorse improvvise e urla alla Luna di un'estate invincibile. In "Promo Hell", le chitarre tramano l'incanto di malinconie senza fine (le stesse che, in "Headfirst", diventano scenografia di un emozionante connubio di cantabilità e dissoluzione), gli
stop & go sono rapide fiammate di furia trattenuta sull'orlo della disperazione, mentre la coda s'arrampica a mani nude sulla parete dell'intensità.
Velocità, dinamismo, melodismo febbrile, rabbia, gioia sepolta nelle viscere: la musica di "Melee" sembra doversi disintegrare da un momento all'altro, come gli stessi suoi artefici. In "Fox", Stoitsiadis prende fiato e sussurra: "Any moment now, I will disintegrate". Negli assalti hardcore di "Hotlines", nella trascinante bellezza costruita su macerie di
Replacements e
Green Day di "Wartortle" e negli strappi math di "Wrist", il disco continua a sanguinare senza sosta, affidando dunque a "Cannonball", alle sue traiettorie torturate e ai suoi cori urlati, il segreto di un dolore che sembra avere le stesse fattezze della gioia, perché quando sei giovane, e quando non hai mai dimenticato di esserlo stato fino in fondo, sai bene che non c'è differenza alcuna tra il buio pesto e la luce più abbagliante. Una verità che, nella conclusiva "Ender" (in cui fanno capolino anche digressioni
progressive, squarci di folk acustico e titoli di coda per musica da camera), assume quasi toni metafisici.
"Melee" è un debutto fulminante, da ascoltare a tutto volume e da cantare a squarciagola.
09/11/2020