Dopo la sfida della band di pubblicare una serie di album nell’arco di un solo anno, una nuova strategia contrassegna la carriera dei King Gizzard & The Lizard Wizard per il 2020. Nel mese di gennaio la band ha reso disponibili ben tre dischi dal vivo attraverso la piattaforma Bandcamp, pubblicando anche un live ufficiale “Chunky Shrapnel”. Per la fine dell’anno oltre ad altri due album dal vivo e una raccolta di demo, la band ha annunciato un disco in studio “K.G.”, lavoro accantonato dopo le prime registrazioni effettuate prima della pandemia.
Il sottotitolo dell’album “Explorations Into Microtonal Tuning, Volume 2” mette subito in chiaro la cifra creativa del progetto, ovvero le affinità elettive con “Flying Microtonal Banana”, nonché l’assoluta mancanza di novità rilevanti, dopotutto quando una terra dà buoni frutti, il contadino non ha necessità di cambiare semi e concime.
Le prime sei tracce di “K.G.” offrono variazioni su tema senza molte sorprese, se non quella di una prevalenza di atmosfere mediorientali con particolare attenzione alla psichedelia turca (“K.G.L.W.”). La band mette subito in campo due autentiche perle per le future esibizioni, la prima è l’incandescente “Automation” che si sviluppa su riff di fuzz guitar ed effetti psichedelici da manuale, mentre “Minimum Brain Size” evolve la materia verso qualcosa di più complesso e ardimentosamente lirico.
Le più morbide movenze folk-psych di “Straws In The Wind” non lasciano il segno, ma non disorientano come invece accade per il pasticcio atonale di “Some Of Us”, che per fortuna nel finale anticipa le ricche trame ritmiche dove confluiscono gli esotismi afro-dance e le sonorità spaghetti-western dell’esuberante “Ontology”, chiudendo peraltro la prima fase del disco e aprendo le porte a pagine più ricche di groove.
“Intrasport“ proietta istantaneamente la band nell’era del Manchester sound e della contaminazione dance esotica, senza dubbio questo è il brano più pop mai inciso dai King Gizzard. A poco valgono le dissuasive atmosfere psichedeliche di “Oddlife”, la seconda parte di “K.G.” è la più confortevole e affabile sequenza della band australiana, al punto che “Honey” tenta di sedurre l’ascoltatore casuale con atmosfere insolitamente e melodicamente mainstream.
A spazzare via dubbi e sospetti arriva la granitica “The Hungry Wolf Of Fate”, un hard-psych-rock che non sfigurerebbe nel repertorio dei grandi Black Sabbath, un probabile anticipo delle mosse future dei King Gizzard & The Lizard Wizard, o forse un’altra semplice esternazione di creatività e immaginazione di una band che ha fatto del sano divertimento l’unico vero scopo della carriera.
14/12/2020