Nel 2017, sulla bacheca musicale del sito 4chan, uno degli utenti anonimi pubblicò un messaggio in cui raccontava di aver sognato un nuovo disco di Kanye West, “The Death Of Pablo”, seguito del chiacchieratissimo “The Life Of Pablo”. Descrivendone anche la tracklist e il mood generale, l’utente diede involontariamente del materiale su cui ragionare ad alcuni musicisti che già da qualche tempo frequentavano quelle pagine. Battezzatisi con il nome di The Pablo Collective, i Nostri si lanciarono così nella realizzazione di una libera e sperimentale reinterpretazione del disco originale di West, intitolandolo però come quello sognato dall’anonimo utente di cui sopra. Dopo quell’affascinante esperienza, il collettivo originario perse alcuni pezzi per strada, ma i membri superstiti decisero comunque di continuare a fare musica, anche se con il nuovo nome di PACOL. (con il punto finale, mi raccomando).
Il primo dispaccio di questa nuova avventura fu l’album “A 55 Minute Message From The Pablo Collective” (2018) che continuava, ma con più convinzione, a rimescolare visioni plunderfoniche, dark-ambient, sound collage, hip-hop e field-recordings. Con la line-up assestatasi intorno alle due figure preminenti di Carlos Arrazola aka Tau-9 (voce, chitarra, basso, synth, field recordings) e Noah Chalfant aka bphax (voce, chitarra, synth, piano, organo, field recordings), coadiuvati da Ben Casey (field recordings) e Freeman Lattin (sax, field recordings), di stanza, rispettivamente, tra Texas, Iowa, New York e Olanda, i PACOL. trascorsero i successivi due anni a scambiarsi materiale via Internet (per la cronaca, i quattro non si sono mai incontrati di persona), con lo scopo di realizzare “Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!”, un disco che rende pienamente giustizia alla loro idea di plunderphonics/sample-based music, il cui scopo è la ricontestualizzazione di materiali sonori provenienti dai generi più disparati e dalla vita di tutti i giorni.
Nei solchi del disco, è possibile riconoscere qua e là l’identità originaria dei materiali utilizzati, ma solitamente i PACOL. tendono a sfigurarli quasi del tutto, abbandonandoli come vascelli fantasma tra le onde di un oceano sonoro che cinge da parte a parte l’ascoltatore, lasciandolo in balìa di un’esperienza totalizzante.
Strutturalmente influenzato da storici album doppi quali “Uncle Meat” di Frank Zappa e “Soundtracks For The Blind” degli Swans, ma anche dal primo, omonimo lavoro dei cLOUDDEAD, e musicalmente ispirato dai solchi di Autechre, Oneohtrix Point Never, Tim Hecker, James Blake, Talking Heads, David Bowie e This Heat, “Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!” si abbevera anche alla fonte di artisti quali David Lynch, Coil, David Berman, Ryan Trecartin e Mark Kozelek per catturare umori, sensazioni e idee da riversare in testi che ruotano intorno al macro-tema della documentazione ma che, di volta in volta, focalizzano l’attenzione su argomenti quali la totalità, le relazioni interpersonali, l’influenza della tecnologia sulla nostra percezione del mondo, l'identità e la sua variazione nel tempo.
In forma di suite suddivisa in 8 parti (per oltre un’ora e tre quarti di musica, la gran parte della quale costruita a partire da materiale originale), “Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!” apre con “Music For Clenching Your Jaw To”, il brano più breve del lotto, sospeso tra tribolazioni cosmiche e caos rumorista. Da qui in avanti, i brani faranno segnare una media di 14 minuti circa di durata, trascinandoci in un vortice sonoro che assomiglia a una labirintica stanza degli specchi. Ecco, quindi, “The Forces Of A Creative Mind Are Unstoppable, And I Will Push” prendere la rincorsa con un galoppo stordito e vagamente gotico, prima di lasciare il passo a una digressione noise-psichedelica che muta lentamente in dream-pop pulviscolare, da cui fioriranno ancora, quasi per incanto, nenie electro-pop, radure new age e orizzonti sintetici carichi di struggente malinconia.
Viaggiando lungo crinali jazz-noir (con tanto di tromba querula), la successiva “The Remote Viewer Country Star” incrocia il rintocco di campane metafisiche che ci catapultano in uno scenario dilatato e attraversato da voci che riecheggiano infinite, confondendosi l’una nell’altra. Quando l’atmosfera diventa cupa ed enigmatica, ne esce fuori un ipnotismo trip-hop, preludio ad altre trovate di grande effetto drammatico: musica concreta per cristalli alla rinfusa, inquietanti rituali ultramondani, recitati Slint-iani e strambi rimpalli come disimpegni ipnagogici.
Parlare di “I Met the Hell Recruitment Officers in My Dream” significherà, invece, suggerire l’idea di un mosaico in cui si aprono spiragli verso deliqui folk sempre più rarefatti (tra allucinazioni e limiti apparenti), degli Xiu Xiu ridotti a meccanismo tribaloide, brevissime carrellate di progressive-electronic e una ballata dark ambient-pop dai toni magniloquenti (qualcuno si ricorda di Tobias Lilja?) che un solitario sax ha il compito di sigillare come fosse uno scrigno ricolmo di preziosi ricordi. Questa coda così sofisticata è spazzata via dalle mitragliate harsh-noise che aprono “The Superheroes In My Brain Are Here, And They Are Dangerous”, un brano la cui prima parte è occupata da una notevole escursione dark-electro in chiave psichedelica e con propaggini noise-industrial. Nella seconda, attraverso una mini-sinfonia per riverberi metallici e, quindi, delle accelerazioni vertiginose che sembrano voler frullare quanto fin qui ascoltato, giungiamo tra le braccia di una strana creatura metà Johnny Cash, metà Michael Gira ed è quindi tutto un profluvio di profondità gospel, di vagabondi ingoiati dalle distanze e di suggestioni “Dark Was The Night, Cold Was The Ground” sedimentate in fondo all’anima.
Suggestioni la cui eco raggiunge anche i confini di “Tuesday's Gone And Passed Away”, che aggiunge al puzzle del disco minimalismi pianistici, fantasmi di voci e di vite, sprazzi di American primitivism, lo-fi pop sgangherato e corali trasfigurati. “Dancing In The Mirror Makes Me Human” porta in dote, invece, circuiti chiusi in indietronica-mode (Dan Deacon, ti fischiano le orecchie, vero?), gorghi ambient-dronici e radiazioni fluttuanti che montano in cosmica magnificenza, in abbacinante dissoluzione della forma, come quella che caratterizza anche la prima parte della title track, impreziosita da un anthem electro-pop e sigillata da un requiem per l’era tecnologica che si spegne poco alla volta, come un miraggio dentro il crepuscolo.
Erratica, iridescente e stimolante, la musica dei PACOL. chiama a raccolta gli aficionados di una musica rock (o quello che vi pare) ancora desiderosa di essere sinonimo di libertà e sperimentazione.
The moment when someone comforts me
the moment I say to my friends that I love them
the moment I tell my parents that I love them and all they’ve done
the moment I want to be a human being
the moment I want to share this life with others
the moment I am in line with who I really am
the moment when all I do, I do in love
the moment my childhood ended
All I want is for everyone on earth to feel okay
20/10/2020