Il nuovo dress code di Seb Rochford, ex-Polar Bear, è un jazz oscuro, glaciale, un gemito sordo che attraversa il passato del compositore scozzese, scava nelle origini indiane, suggella le contaminazioni culturali più recenti (Sons Of Kemet, Gwyneth Herbert) e consolida le affinità elettive in famiglia: Seb è sposato con Matana Roberts.
Tutte le suggestioni che erano nascoste sotto la dura scorza dei progetti nei quali è stato trascinato in passato (Babyshambles, David Byrne, Brian Eno, Corinne Bailey Rae, Herbie Hancock) e le tentazioni più free jazz di alcune pagine dei Polar Bear vengono ora alla luce, anzi, a voler essere precisi, nell'oscurità più profonda e avvolgente.
"Rose Golden Doorways" affonda la sua genesi nel recente viaggio in India dell'autore, il risultato non è mitigato da mollezze etno-world, il sax di Pete Wareham e il basso di Neil Charles tessono un dialogo con aspirazioni avantgarde, sperimentali, spesso simili a un irrequieto brontolio.
Seb Rochford ne graffia le minime indulgenze melodiche, le alleggerisce e le grava, con l'arte dei suoni minimali della no-wave, dello schema concettuale futuristico-primitivo di Jon Hassell, delle melmose e cavernose degenerazioni grindcore.
Le nove fasi creative di "Rose Golden Doorways" non sono facilmente scindibili dall'insieme implacabilmente claustrofobico e ossessivamente rituale del progetto Pulled By Magnets, il cui fine ultimo è un caos catartico che ha la forza spirituale di una purificazione ("Invite Them In").
Facile evocare suggestioni e concetti ideologici/artistici di alto spessore per questo nuovo progetto di Seb Rochford, ma in questo caso nulla è mai troppo per poter descrivere l'incedere ammaliante del noise-drumming di "Nowhere Nothing" o delle incredibili stregonerie sonore che ampliano lo spettro cromatico degli strumenti messi in gioco.
Se la batteria è il corpo pulsante di una musica sporca e ruvida come la terra, spetta al basso fare da contrappunto ascetico e ultraterreno, avendo il sax di Pete Wareham il compito di rappresentare l'organo sessuale di "Rose Golden Doorways": grande vagina dell'immenso patrimonio antropologico/musicale condensato nei sei minuti e trenta secondi di "Those Among Us" e nello stesso tempo residuo della figurazione fallocratica di antiche culture nei quasi otto minuti di "The Moon Of Oduglin".
La musica dei Pulled By Magnets è profondamente radicata nella terra, nell'umanità che la calpesta. Le nove tracce di "Rose Golden Doorways" si muovono come un unico corpo geologico, attraversato da terremoti superficiali e da tribolazioni creative che sono forse in antitesi: musica contemporanea e metal trovano un piano comune su quale scivolare, secondo regole più tipicamente jazz.
Forse qualcuno starà pensando che questa lunga e quasi onirica sequenza di citazioni e aggettivi sia solo una superflua e arrogante messa in scena, per celebrare l'ennesimo tentativo, non del tutto riuscito, di superare le barriere dell'arte sonora. Nulla di tutto ciò: quello che Rochford ha elaborato, peraltro con una registrazione live in studio senza uso alcuno di sovraincisioni, è una pagina atipica, originale e inconsueta, destinata forse a consolidare il termine, spero non fastidioso, di dark-doom-jazz, un disco che va ad arricchire il già cospicuo panorama discografico di questi primi mesi del 2020.
08/03/2020